10 novembre 2012

I carnefici stranieri di Hiltler... i nostri fascisti.!


SAVERIO FERRARI - IL MANIFESTO | 10 NOVEMBRE 2012

   
«I carnefici stranieri di Hitler» di Christopher Hale per Garzanti

Alla fine costituivano la metà degli effettivi. Una ricostruzione sulla presenza di militi non tedeschi nelle SS Le divisioni «miste» utilizzate nella caccia di ebrei, «subumani» e nella repressione dei partigiani
Non si tratta di una storia delle SS, come tante altre. I carnefici stranieri di Hitler. L'Europa complice delle SS di Christopher Hale (Garzanti, pp. 656, euro 35), studioso inglese già autore anni fa di un approfondito lavoro sulle spedizioni naziste in Tibet alla ricerca delle origini della razza ariana (La crociata di Himmler, Garzanti), cerca infatti di fornire una risposta a una serie di domande, tutt'altro che secondarie, nell'ambito della ricostruzione storica e ideologica del Terzo Reich, come del collaborazionismo. Ovvero i motivi per cui nel corso del secondo conflitto mondiale i nazisti, sotto la guida di Heinrich Himmler, riuscirono a reclutare centinaia di migliaia di soldati non tedeschi nelle fila delle Waffen-SS, al punto da farne la parte preponderante. Una palese contraddizione per chi progettava un nuovo impero germanico basato sulla purezza del sangue ariano e aveva scatenato la guerra avendo in animo la schiavizzazione dei «subumani» slavi e l'«annientamento» dei nemici razziali, a partire dai «giudei bolscevichi». A tale scopo, infatti, erano state istituite e addestrate le Waffen-SS: vere truppe d'assalto scelte di questo progetto di imperialismo razziale. Per la gran parte degli storici fu niente più che una scelta di convenienza dettata dalla necessità di disporre di armate sempre più numerose da contrapporre agli eserciti avversari.
La spiegazione di Hale è ben diversa. Himmler, pervaso dalla sua sconfinata ambizione di trasformare le SS nel pilastro essenziale dell'impero tedesco, puntò all'inizio ad acquisire per le sue truppe solo «il meglio del meglio» dei popoli germanici. Non si pose il problema dei numeri. Solo il corso della guerra lo portò a un ripensamento radicale. Il punto di svolta Christopher Hale lo colloca dopo il giugno 1941, quando a seguito dell'invasione dell'Urss, gli antropologi tedeschi dell'Istituto Kaiser Wilhelm, guidati da Wolfgang Abel, esaminando i soldati prigionieri (più di due milioni di soldati sovietici perirono nei Campi di concentramento) giunsero alla conclusione che «il sangue germanico era penetrato profondamente a Est attraverso il Baltico e l'Ucraina» e che «alcuni popoli dell'Est potessero avere abbastanza sangue germanico da qualificarsi come futuri cittadini del Reich». Come sosteneva lo psicologo Ludwig Ferdinand Clauss (assai apprezzato in Italia da Julius Evola) le razze potevano essere «malleabili». Attraverso «la volontà», secondo Himmler, si potevano anche ridisegnare e ricollocare nella vasta comunità germanica. Il primo passo era l'accettazione di «uccidere e farsi uccidere» per il progetto di una «nuova Europa» delle SS. Da qui, a partire dall'estate del 1942, l'autorizzazione a reclutare unità non tedesche. I primi furono gli estoni. Seguirono i lettoni. Nel 1943 furono assoldati 15mila musulmani bosniaci, per finire nell'estate 1944 con oltre il cinquanta per cento dei soldati di Himmler nati fuori dai confini tedeschi. Tutte le divisioni si ritrovarono ad avere in forza degli stranieri e ben venticinque su trentotto furono composte in prevalenza da non tedeschi provenienti non solo dal Nord Europa o da Francia, Italia, Olanda e Belgio. Tra gli altri, indiani, arabi, albanesi, croati, ossezi, tagiki, uzbechi, bosniaci, ucraini, azeri e mongoli buddhisti.
Questa interpretazione della storia delle Waffen-SS confligge non solo con altre letture già ricordate, ma soprattutto con l'ipotesi avanzata da Daniel Goldhagen ne I volonterosi carnefici di Hitler (pubblicato nel 1996), secondo la quale «l'antisemitismo sterminatorio» tedesco sarebbe stato il motore dell'Olocausto. Un crimine tutto tedesco. Per Hale una tesi dai «piedi d'argilla» contraddetta dall'omicidio di massa degli ebrei e di altri nemici, in Croazia, in Romania, nel Baltico, in Bielorussia, in Ucraina e in molte altre regioni dell'Europa orientale, perpetrato da milizie locali, dagli Einsatzgruppen (le «Unità operative» adibite appositamente all'eliminazione degli ebrei) e dalle Waffen-SS, entro cui operavano non solo tedeschi ma lettoni, lituani, ucraini e altri slavi al servizio del Terzo Reich. A milioni le persone che persero la vita non solo nei Campi nazisti. Uno sterminio di uomini, donne e bambini, considerato parte essenziale dell'annientamento del «bolscevismo giudaico». «Non bisognava essere tedeschi» per diventare dei genocidi, queste le conclusioni di Chrisopher Hale. Molti artefici dell'Olocausto non provenivano dalla Germania, «erano stati allevati in paesi non meno antisemiti» e nell'Europa orientale «ebbero un ruolo diretto nell'omicidio di massa». Fu un crimine europeo.
Le unità italiane
In questa monumentale ricostruzione un lungo capitolo è dedicato anche alle SS italiane, i cui battaglioni furono inizialmente istituiti nell'ottobre 1943 come unità paramilitari di polizia («Waffen Milz-Milizia armata»), da impegnarsi «contro i banditi, i paracadutisti e più in generale contro i comunisti». Tormentata e tortuosa fu la loro vicenda: divisi al seguito di più divisioni tedesche, parte di loro si ritrovò addirittura a combattere nell'estate 1944 alla difesa di Budapest. La loro denominazione cambiò più volte e paradossalmente solo nell'aprile 1945 nacque a tutti gli effetti la divisione delle SS italiane, autorizzata a indossare le mostrine nere e argentate con le rune. Giusto in tempo per arrendersi ignominiosamente, la maggior parte di loro, ai partigiani.
Le SS italiane collaborarono con i tedeschi nel dare la caccia agli ebrei. Un mito, secondo Hale, il fatto che gli italiani fossero stati «relegati in secondo piano». Il loro ruolo fu senza ombra di dubbio di «agenti attivi dell'Olocausto».
La riabilitazione
L'ombra lunga di questa storia arriva fino a oggi. In alcuni paesi, come in Lettonia, si celebrano ancora le gesta dei volontari nella legione SS costituita da Himmler, ovvero di coloro che assassinarono, insieme all'occupante tedesco, almeno 70mila ebrei.
La riabilitazione dei carnefici, sostiene Christopher Hale, passa oggi anche attraverso la richiesta all'Unione europea di «mettere sullo stesso piano i regimi totalitari». Il riferimento è alla cosiddetta Dichiarazione di Praga formulata nel 2008 da studiosi e politici per lo più cechi (primo firmatario Václav Havel) e bulgari. L'obiettivo è quello di demolire la specificità dell'Olocausto. I crimini dei sovietici, equiparati alla Soluzione finale, aprirebbero la strada alla riconsacrazione di coloro che combatterono contro l'Urss, trasformando in eroi nazionali i collaboratori del genocidio.
Purtroppo i timori di Christopher Hale si sono tramutati in realtà. Nell'aprile 2009 una risoluzione votata dal Parlamento europeo proprio questo ha fatto: accomunare insieme nazismo e regimi comunisti, istituendo il 23 agosto come giornata di commemorazione di tutte «le vittime di tutti i regimi totalitari». A votarla un ampio schieramento trasversale, dai deputati del Partito popolare europeo all'Alleanza dei democratici, ai Verdi. Tra loro il Partito democratico, l'Italia dei valori, i radicali.

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