15 settembre 2020

ANTIFASCISMO QUOTIDIANO (Introduzione)























INTRODUZIONE Carlo Smuraglia.

Premessa metodologica

Sembra doveroso premettere un chiarimento, al fine di eliminare ogni possibile equivoco. Questo non è un libro dedicato o riservato agli esperti di diritto. L’obiettivo è quello di dimostrare che oltre alle più note modalità di contrasto al neofascismo e al razzismo (le prese di posizione, le contromanifestazioni, i presìdi, e così via) ci sono altri strumenti molto importanti al fine del raggiungimento di risultati concreti.

Poiché si tratta di strumenti di tipo istituzionale, è chiaro che si parlerà necessariamente di leggi, di sentenze e di argomenti che, in altre e più adatte sedi, meriterebbero ampie e approfondite discussioni, ma questi strumenti vanno conosciuti e utilizzati non solo dagli esperti, ma dai cittadini che intendono reagire agli atti di arroganza e di violenza, con cui si cerca di riportarci indietro nel tempo, magari riproducendo situazioni che sono costate carissimo al Paese, non

solo sul piano economico, ma anche e soprattutto sul piano umano.

Accade di frequente che esponenti di associazioni antifasciste si rechino dal Prefetto e/o dal Questore per chiedere di vietare manifestazioni di tipo fascista e dunque contrarie alla stessa Costituzione, e si sentano rispondere che, purtroppo, non ci sono leggi, né strumenti adeguati. Non è vero, e proprio per questo abbiamo posto nella prima parte del libro un piccolo quadro delle leggi esistenti, comprese quelle introdotte nel Codice penale, in una sezione apposita riservata ai “Delitti contro l’eguaglianza”, che è di per sé una presa di posizione strettamente conforme all’indirizzo generale della Carta costituzionale. Ma allora, perché quella risposta così tranchant, tanto secca quanto infondata?

Se certe risposte sono possibili è perché una cultura non tanto “giuridica”, quanto di livello istituzionale, spesso difetta in diversi organi dello Stato, che pure sarebbero tenuti a conoscere la Costituzione e le leggi. Ma se questi fenomeni sono deprecabili, è spiacevole anche il fatto che chi avanza quelle richieste, non abbia spesso argomenti adeguati (culturali e storici) per contrastare quelle risposte, in modo forte e convincente.

C’è un luogo comune, secondo il quale la Costituzione sarebbe “antifascista” solo nella XII disposizione finale, che vieta la  riorganizzazione del “disciolto partito fascista ”.

Ci sono, invece, almeno due dati di comune conoscenza: il primo è che non è solo la XII disposizione a essere “antifascista”, ma tutto il complesso della Carta costituzionale, poiché la proclamazione di diritti inviolabili, l’attribuzione al popolo della sovranità, la definizione dell’Italia come Repubblica “democratica” e infine l’intero contesto della Carta, sono tutto il contrario di ciò che significa la parola “fascismo” (e non solo di quello in camicia nera). Così, se è vero – come è indubitabile – che la parola “fascismo” evoca – di per sé – proprio la negazione di questi diritti, di questi poteri attribuiti al popolo sovrano, è altrettanto vero che con l’idea di fascismo contrastano anche l’autonomia e l’indipendenza della Magistratura, il principio d’uguaglianza e di pari dignità sociali, la centralità del Parlamento.

Questo nostro Stato “democratico” purtroppo, non ha realizzato, in questi anni tutto ciò che la Costituzione gli imponeva, nel senso di rendere effettivi e concreti i diritti, di garantire tutele e protezioni da parte della Repubblica di beni fondamentali come la persona, la dignità, l’uguaglianza.

Le leggi che sono state emanate per combattere il fascismo e il razzismo sono state poco efficaci perché non tenevano conto di questi aspetti fondamentali. Il recente rafforzamento di una di esse (legge Mancino) attraverso l’inserimento di una nuova sezione (delitti contro l’eguaglianza) nel Codice penale, è di straordinaria importanza sul piano del significato e del “messaggio”, ma se ne sono occupati solo i giuristi, mentre la grande stampa e praticamente tutti cittadini non ne hanno materialmente potuto apprezzare il valore. Far conoscere questa innovazione e questa presa di posizione da parte dello Stato è di grande importanza, soprattutto se l’informazione non resta relegata nel mondo degli esperti, ma si estende, potenzialmente, a tutti i cittadini.

Si potrebbero fare molti altri esempi. Mi soffermerò solo su uno, che mi sembra di particolare rilievo.

Circa un anno fa, la Corte di cassazione ha assolto un imputato che aveva fatto in pubblico, in un’occasione commemorativa, il saluto romano. La grande stampa ha dato molto risalto a questa decisione, addirittura asserendo che la Cassazione aveva “liberalizzato” (qualche sciagurato ha scritto addirittura “sdoganato”) il saluto romano. Non era esatto: la Cassazione aveva solo attribuito un particolare rilievo alla circostanza “commemorativa” e aveva ritenuto che in quelle condizioni il saluto romano- fascista non rappresentasse un pericolo di estensione e diffusione.

Pochi mesi dopo, la stessa Suprema Corte ha invece confermato la condanna di un altro imputato, accusato di aver fatto il saluto romano durante una seduta pubblica del Consiglio comunale di Milano. Il che significa che si era trattato soltanto di una diversa valutazione non del fatto in sé (sempre ritenuto deprecabile), ma delle particolari circostanze del fatto. Ma intanto il cittadino medio aveva conosciuto solo la versione peggiore e si era fatto una convinzione sbagliata, che addirittura il saluto romano si potesse fare liberamente.

Nessuno aveva potuto discutere di questa aperta contraddizione se non i giuristi, perché, come ho detto, la stampa aveva dato solo un’informazione parziale, limitata e sostanzialmente scorretta sulla prima decisione e nulla aveva detto sulla seconda.

Dunque, la finalità di questo libro, che tende a rivolgersi a strati di cittadini indifferenziati e certamente a non limitarsi solo agli esperti di diritto, è proprio quella di informare e di chiarire, affinché il cittadino sia consapevole e possa davvero esercitare a pieno titolo la sovranità che gli attribuisce la Costituzione, con piena conoscenza dei fatti. Si tratta, dunque, di un contributo all’informazione e alla formazione culturale, a cui tutti dovrebbero attribuire un importante valore, perché la democrazia è tanto più forte quanto più i cittadini sono consapevoli e partecipi. Insomma è giusto non chiudere le finestre dell’informazione complessa su questioni importanti ma, semmai, di spalancarle per la conoscenza di coloro a cui, in definitiva, è stata attribuita la sovranità popolare alla sola condizione di una reale partecipazione e, mi permetto di aggiungere, di una reale informazione e formazione culturale.

Un libro, quindi, che si rivolge ai cittadini per arricchirli e per dotarli di strumenti nuovi, fondamentali proprio perché la partecipazione sia informata e consapevole. In qualche modo si cerca di rimediare alle carenze informative, che dovrebbero essere la costante preoccupazione di uno Stato veramente democratico, che pretende che il cittadino rispetti la Costituzione e le leggi, ma fornendogli contemporaneamente gli strumenti necessari per una effettiva comprensione e per una reale formazione.

Aggiungo ancora un riferimento a un tema più volte in discussione, anche pubblica. Mi riferisco ai diritti fondamentali dei cittadini, che si esprimono particolarmente in quello di libera manifestazione del pensiero e in quello di riunione. Si suole dire, quando ci si oppone a manifestazioni fasciste e /o razziste, che non c’è modo di impedirle o limitarle, perché si tratta di diritti fondamentali che non possono essere negati. Non è così. Basterà richiamare l’attenzione su una fondamentale sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che respingeva il ricorso di una persona che andava in giro manifestando il peggio delle idee, anche razziste, e che era stato condannato dai Tribunali francesi per diffamazione e per altri reati di odio. Secondo la Corte dei diritti dell’uomo, non può invocare il diritto alla libertà di manifestazione del pensiero o di riunione colui che abusa di questi diritti, compiendo azioni che in definitiva vanno contro lo stesso sistema democratico. Così facendo, la Corte europea riaffermava il valore dell’art. 17 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, applicabile – per legge – anche in Italia, affermando quindi un principio di enorme portata, proprio per la difesa complessiva della democrazia. Far conoscere questa decisione non solo ai Prefetti e ai Questori che talvolta fanno le obiezioni cui ho accennato, ma anche ai cittadini, non è lavoro tipico dei giuristi, ma risponde a un dovere generale di informazione, di conoscenza e di formazione culturale che è connaturato alla stessa nozione di democrazia. Insomma, e per concludere, contrastare il neofascismo con gli strumenti forniti dal sistema istituzionale presuppone conoscenza, consapevolezza e, in buona sostanza, un livello complessivo e diffuso di cultura politica che non può e non deve essere riservato alle Università, agli studiosi e agli esperti di diritto, ma deve costituire il bagaglio che ogni cittadino può e deve portare con sé, aiutato da quelle istituzioni che altri vorrebbero mettere in pericolo. Noi, infine, con questo lavoro, cerchiamo di metterci dalla parte del cittadino, con una scelta che è di ci- viltà e di democrazia.

Concludo questa premessa, con una netta e chiara risposta a chi obiettasse che, dalla parte conclusiva di questa introduzione, risulta che il gruppo che ha contribuito alla produzione di questo libro era composto prevalentemente da esperti di diritto (magistrati, avvocati, ecc.). La risposta è facile, a prescindere dal fatto che hanno collaborato anche persone dotate di tutt’altro tipo di esperienze e conoscenze: se si voleva affrontare il tema dell’utilizzo degli strumenti istituzionali per contrastare il neofascismo, questi strumenti bisognava conoscerli per fornire informazioni adeguate e corrette.

Il problema stava nel cercare di farsi capire anche quando le tematiche erano molto vicine al diritto, ma questo è stato proprio lo sforzo più importante compiuto, spero, con successo.

Il carattere e gli obiettivi del libro


Ancora un libro sull’antifascismo, dirà certamente qualcuno dei tanti dotati di “certezze” incontestabili, purtroppo diffuse nel nostro Paese. Il fascismo è un problema superato, la questione si è conclusa con la fine della seconda guerra mondiale e con la Liberazione, lo dice qualsiasi scribacchino, ma lo afferma con tono perentorio anche un noto giornalista e studioso sulle pagine del Corriere della Sera; lo scrive in un recente libro (Chi è fascista, 2019) Emilio Gentile, che addirittura salta al di là dell’ostacolo, per affermare, (provocatoriamente, penso) che “il fascismo non è mai esistito” perché sono mancati tutti i presupposti di un fenomeno serio e storicamente valutabile.

Altri, più semplicemente, manifestano fastidio. Un giornale ha addirittura intitolato così un articolo, anzi una pagina intera, per la quale è stato giustamente querelato: “I fascisti non ci sono più. E l’ANPI se li inventa” (“Libero”, 1 settembre 2015).

Singolarmente, queste posizioni estreme contrastano non con ciò che pensa questa o quella Associazione, ma con un documento approvato dal Parlamento europeo il 25 ottobre 2018, intitolato “Risoluzione del Parlamento europeo sull’aumento della violenza neofascista antifascista in Europa”; e basta leggerlo tutto, per accorgersi che ci sono numeri e dati riferiti anche all’Italia (è collocato proprio all’inizio del libro).

E poi c’è la realtà: manifestazioni fasciste in tutta Italia, reiterati incontri a Milano con i fascisti-nazisti europei; atti di violenza su persone e cose, esibizioni di simboli fascisti anche nelle occasioni meno adatte (i momenti commemorativi dei caduti), le provocazioni, gli atti di razzismo fascista negli stadi (e non solo), il problema – sul web – di gruppi dediti alla propaganda fascista, le manifestazioni fasciste in ricorrenze particolari (la nascita dei Fasci di combattimento, la marcia su Roma), e così via. Inutile continuare perché ciò che avviene è sotto gli occhi di tutti e perfino i “grandi” giornali non possono tacere e sono costretti a riportare talora vicende gravi oppure talvolta, vicende semplicemente ridicole.

Dunque, non so se il fascismo sarà davvero “eterno”, come ha detto anni fa, in una bella conferenza, Umberto Eco, ma certo è sopravvissuto, (e sopravvive) nella mente, nel cuore e nell’azione di molti, anche dopo la conclusione della seconda guerra mondiale. Ho trovato, tra le mie carte, un opuscolo di Magistratura democratica intitolato Neofascismo e giustizia con sottotitolo Torino 1969-74, particolarmente ricco di documentazione e di riferimenti a vicende concrete e inter- venti giudiziari. A guardare quelle carte, sembra che non siano passati quaranta- cinque anni, ché anzi bisognerebbe riconoscere che il cammino percorso da allora dai movimenti neofascisti non solo non si è mai interrotto, ma si è addirittura intensificato, per di più qualificandosi spesso in modo inedito. Possiamo dare per scontate le aggressioni a giornalisti, come è di recente avvenuto, ma non avremmo certo immaginato che certi movimenti fascisti si dedicassero a garantire una presenza nell’occasione di sgomberi collettivi da case occupate, o partecipassero – più o meno ufficialmente – a manifestazioni pubbliche promosse da partiti di destra.

E poi c’è il fascismo dei “nostalgici”, dei pellegrinaggi a Predappio, quello delle commemorazioni che poi si trasformano in manifestazioni politiche, con tanto di saluto romano e chiamata del “presente”. E c’è la vicinanza, se non addirittura la contiguità, con le peggiori manifestazioni di razzismo, che purtroppo affliggono il nostro Paese, che in realtà avrebbe una vocazione solidaristica e una Costituzione fondata sull’uguaglianza, la pari dignità sociale e la dignità della persona. Infine, e anche di recente, non sono mancate occasioni di partecipazione e appoggio a manifestazioni della destra oppure a iniziative retrograde anche culturalmente.

Dunque, ci vuole del coraggio a sostenere che il fascismo è morto e addirittura che il neofascismo non rappresenta nulla di rilevante né di pericoloso. C’è una realtà che non si può smentire e che preoccupa tutti i cittadini onesti, che tengono come riferimento essenziale la Costituzione e i suoi valori.

E ci vuole altresì del coraggio a sostenere che il fascismo non esiste più nelle istituzioni e nella società civile, nella cultura diffusa del Paese. Certo, tra i cittadini, non ha la maggioranza, ma questo non riduce i pericoli di un possibile ritorno al passato, ovviamente non nelle stesse forme e manifestazioni, ma con gli stessi connotati e con i fondamenti di sempre, riassumibili con facilità in tutto ciò che contrasta con i princìpi, i valori, lo “spirito” della nostra Costituzione.

D’altronde, questa “conclusione” era inevitabile in un Paese che non ha mai fatto seriamente i conti col fascismo, è rimasto indifferente di fronte agli attacchi alla Resistenza e si è posto in difesa della Costituzione solo in grandi momenti, quando l’attentato era palese in modo clamoroso e non si poteva fare a meno di dirlo, se si amava la Patria, la libertà, la democrazia.

È ben vero che molti ci avvertono (forse giustamente) che non bisogna fare confusioni e distinguere bene, evitando di definire “fascista” anche ciò che non lo è (o magari non sa di esserlo). A questo rilievo è giusto essere sensibili, perché la confusione non aiuta; e poi una definizione non può contenere tutto senza rischiare confusione.

Siamo d’accordo; qui stiamo parlando del neofascismo, che si identifica spesso col razzismo e si impernia su connotati ben noti e definiti. Questo non significa che non ci rendiamo conto del fatto che ci sono forme di revisionismo e di negazionismo, che in qualche modo sono altrettanto preoccupanti; ma l’impegno e la battaglia devono avere connotati ben diversi, individuando di volta in volta il “nemico” da battere e gli strumenti per farlo. Quindi, a chi ci parla di fenomeni largamente presenti nel mondo contemporaneo, di alcuni effetti del capitalismo senza freni, dell’arroganza di un certo tipo di politica, solo per fare qualche esempio anche rispetto a fenomeni diversi fra loro, rispondiamo che ne siamo ben consapevoli e conosciamo perfettamente la loro pericolosità. Troviamo tuttavia troppo semplificatoria la scelta di definire tutti fascisti e troppo rischioso fare un grande calderone di tutto ciò che di male presenta la società moderna. Sappia- mo altrettanto bene che diverso è il modo di contrastare questi fenomeni; un modo che trova il suo fondamento nella politica e nella partecipazione.

È stato scritto di recente che è sbagliato definire “fascista” un uomo politico solo perché è prepotente e arrogante e fa e dice cose che troviamo contrastanti con i valori fondamentali della nostra convivenza. Questo, però, è il ruolo della politica, quella vera: combattere l’arroganza, la prepotenza, la prevaricazione, gli abusi, con le armi della politica e senza inserire tutti in una categoria unica, capace di riassumere tutti i fenomeni negativi del mondo contemporaneo.

Si può dunque essere contrari a tutti questi mali e comprenderne la gravità, senza peraltro creare confusioni inutili.

Esistono un fenomeno neofascista, e uno nazista, comunque razzisti, ben individuati e ben individuabili, certamente da combattere con gli strumenti della politica, dunque anche con quelli delle istituzioni, oltreché ricorrendo – come è sempre auspicabile – alla partecipazione più vasta dei cittadini.

Di recente, si è notata la crescente diffusione di fenomeni di negazionismo e di antisemitismo accanto alle forme più tradizionali di razzismo. Questi fenomeni sono diffusi e frequenti, si manifestano talora negli stadi, ma ancora più spesso con atti compiuti di notte e molto di na- scosto (tombe di partigiani o deportati devastate, addirittura croci uncinate sulla porta delle case partigiani, di deportati o anche semplicemente di qualcuno ritenuto ebreo). Manifestazioni più silenziose, ma ugualmente disgustose, di un odio che non si riesce a cancellare e che cela – a sua volta – incredibili progetti di ritorno e di rivincita.

Su molte di queste vicende non ha avuto modo di pronunciarsi la Magistratura, non solo perché restano ignoti gli autori, ma anche perché sono poco conosciute le nuove disposizioni del Codice penale, di cui avremo modo di parlare.

Tutto questo non può non preoccupare e non indurre a reazioni, nei modi che l’ordinamento consente e a seguito di un impegno più consistente delle forze di polizia e delle “intelligenze” di cui disponiamo. Il Presidente Mattarella, in occasione di un intervento a Sant’Anna di Stazzena, ha detto testualmente: “Sono comparse di recente, in questo Paese, scritte contro ebrei sui muri e persino su porte di abitazioni. Folli e fanatici hanno colpito cittadini inermi in borghi e quartieri della nostra Europa. Sono fenomeni limitati, ma che non possono essere sottovalutati. Perché puntano a colpire i princìpi, le fondamenta della Costituzione, la stessa memoria”. Sono parole impor- tanti che esigono l’impegno delle istituzioni per contrastare queste forme di odio, che alla fine collimano con le manifestazioni neo-fasciste e neo-razziste. Con tutti gli strumenti a disposizione delle istituzioni e col contributo dei cittadini più avveduti e impegnati. Nella convinzione diffusa che vi sia un legame insidioso tra fascismo, razzismo, antisemitismo e che dunque l’impegno delle istituzioni e dei cittadini deve essere forte, unito e consapevole, proprio per la pericolosità di questi fatti e l’attentato che essi recano alla convivenza civile, e allo spirito della Costituzione.

Concentrandosi su un fenomeno preciso, la prima arma che viene in mente è la memoria, intesa come conoscenza. C’è chi usa certi simboli fascisti senza rendersi conto che essi rappresentano la morte, la violenza, la prepotenza, l’attacco agli stessi diritti umani; e c’è, invece, chi preferisce usare quei simboli negandone gli aspetti peggiori, accettando il travisamento della verità e consapevolmente cercando di tornare indietro nel tempo, magari assumendo forme un po’ diverse, con qualche novità, ma restando fedeli al fondamento del sistema che vorrebbero riprodurre e ripristinare.

Reagire a queste tendenze, a queste manifestazioni è sacrosanto e necessario, anche perché – ci ammonisce lo storico Pierre Milza – tutto può sempre riprodursi – magari in forme diverse, ma con una sostanziale identità della sostanza.

Ovviamente, la prima risposta non può che venire dalla società, che dovrebbe essere ferma nel conoscere il passato, individuando i pericoli e ponendo in atto le contromisure occorrenti.

Sotto questo profilo, decisiva è la partecipazione dei cittadini, almeno di quelli che aspirano a una serena convivenza civile e confidano nella valenza, sempre attuale, dei princìpi costituzionali.

Ma poi c’è il ruolo delle istituzioni, che non possono, non debbono restare neutrali, ma devono assumere tutte le iniziative necessarie per stroncare i rimpianti, i riferimenti più o meno intensi a un passa- to certamente non glorioso e che non deve tornare mai più.

Ma, in concreto, esiste davvero un “pericolo” nelle manifestazioni di fascismo e di razzismo? Non pochi sono quelli che lo escludono, considerando che si tratta di un limitato numero di persone, non idonee a costituire un pericolo reale e certo. Per me, questa impostazione riduttiva è sbagliata, perché – come si è detto – il neo- fascismo ha oltrepassato da tempo i con- fini della semplice nostalgia e si è presentato come un pericolo, reale e concreto, sotto vari profili.

Anzitutto, un pericolo per la convivenza civile, perché questi movimenti sono prevaricatori e spesso violenti, dunque suscettibili di creare situazioni oggettivamente “pericolose” di per sé. Se un gruppo di giovani fascisti attacca duramente (e non a parole) i giornalisti dell’ “Espresso” che stanno facendo il loro dovere di informazione, il fatto è grave perché mina la libertà d’informazione, ma è anche pericoloso, come lo è sempre la violenza, specialmente quando non è fine a sé stessa. E poi c’è il problema dell’emulazione, per cui un atto di violenza costituisce, per chi la pensa nello stesso modo, un incitamento a fare altrettanto. Violenza chiama violenza ed è sempre un pericolo per i rapporti umani e sociali, in quanto divisivo e prevaricatorio.

Molti di questi comportamenti vengono, giustamente, inseriti tra i reati di odio, e l’odio è sempre da respingere, non solo per la sua natura inaccettabile, ma anche per gli effetti che è in grado di produrre.

D’altronde le esperienze che ci fornisce la storia sono molto chiare. Violenti furono i primi anni del fascismo (e non solo quelli) e violenta fu la nascita del razzismo fascista e nazista. La convivenza civile ha bisogno di pace, di collaborazione, di rispetto reciproco. Chi mette in pericolo tutto questo, merita non solo attenzione, ma soprattutto prevenzione. Se si conclude che la violenza è un elemento connaturato al fascismo-razzismo, bisogna convincersi che non si deve lasciare che essa si esplichi, perché è sempre suscettibile di produrre danni, per l’esempio, per l’emulazione, per la possibilità di reazioni, anche giuste, ma non pacifiche.

Il problema si pone poi in termini assai più generali. Se c’è chi predica odio o comunque compie atti violenti; se c’è, anche ai vertici delle istituzioni, chi non condanna esplicitamente certe azioni e certe pratiche; se un sondaggio dimostra che ci sono molti che pensano che “l’uomo forte” sarebbe una garanzia per tutti, e se a tutto questo la società non reagisce con prontezza e fermezza, il pericolo c’è e diventa attuale e concreto.

C’è un aspetto ulteriore da non trascurare. C’è una certa inclinazione, in una parte degli italiani a considerare con di- sprezzo la politica, a negare la centralità del Parlamento, a mancare di rispetto alla Costituzione, a molte istituzioni. Di per sé, questo è grave e pericoloso, ma in nessun caso può giustificare la volontà di fare un passo indietro, non tenendo conto della storia e delle vicende del secolo scorso. Questa tendenza, accompagnata dalla nostalgia, dal rimpianto e dal desiderio di rivincita, può saldarsi con altre aspettative e recare acqua al mulino di chi ancora sogna il fascismo. In un Paese in cui un politico può rivendicare pubblicamente “i pieni poteri”, c’è davvero da preoccuparsi, visto che alcune delle cose che vengono invocate, assomigliano molto a quelle che hanno caratterizzato negli anni Venti e Trenta, la nascita del fascismo e del nazismo.

Gli storici ci hanno insegnato che la storia non si ripete mai nello stesso modo, ma bisogna conoscerla, anche per essere pronti a coglierne i segni di pericolosità e a intervenire con gli opportuni e tempestivi antidoti.

Sotto questo profilo, e solo per fare un esempio, “CasaPound” che partecipa a una grande manifestazione della destra, a Roma, ci fa pensare a una possibile saldatura e a una crescente pericolosità.

Bisogna dunque concludere che il fascismo e il nazismo sono tutt’altro che morti, anzi sono vivi e presenti nella realtà del nostro, come di altri Paesi.

Chi crede nella democrazia deve dunque contrastare questi fenomeni. Ed è un compito che spetta alle istituzioni e, dopo, ai cittadini.

Parlo, prima di tutto, delle istituzioni perché siamo in un Paese in cui ben poco si è fatto perché esse diventassero veramente democratiche e corrispondessero appieno, nelle loro strutture e nelle loro azioni, alle chiarissime indicazioni della Carta costituzionale.

Non ci siamo mai posti il problema di adeguare seriamente le istituzioni ai princìpi costituzionali. Il tema di un pericolo di ritorno al fascismo non è stato mai presente nei programmi dei nostri governi; e ben poco è stato fatto per far conosce- re che cosa sia stato il fascismo, nono- stante l’art.9 della legge Scelba (1952) che impegnava lo Stato, attraverso la scuola, a diffondere la conoscenza del tragico ventennio. Le nostre istituzioni sono sta- te inerti di fronte all’aggressività dei movimenti neofascisti e alle manifestazioni di fascismo e razzismo sul web. Le strutture dello Stato, degli enti locali, delle Regioni, delle istituzioni pubbliche in genere, hanno stentato molto ad adeguarsi ai princìpi e alle regole costituzionali. E questo anche per scarsa conoscenza della storia e per il valore puramente formale attribuito alla memoria. Ci siamo ricordati di Cefalonia molti anni dopo i tragici fatti, e per anni abbiamo tollerato la diffamazione della Resistenza. La stessa giustizia ha spesso tardato a rendersi conto del suo ruolo in questa “battaglia “, visto che le leggi ci sono, e vanno correttamente applicate. Manca, si può dirlo con certezza e con dispiacere, una vera cultura democratica diffusa.

Ho letto sulla stampa che la senatrice Segre ha subìto e sta subendo attacchi e offese minacciose sul web e perfino negli stadi; e questo è davvero intollerabile. Mi ha colpito tuttavia il fatto che un im- portante uomo di governo dopo aver dichiarato di esser stato molto colpito da questa vicenda, abbia aggiunto che “ora ci vuole una legge”. Ciò dimostra che ignora, evidentemente, che esistono già validi strumenti giuridici (dalla legge Mancino, al recente inserimento nel Codice penale di una Sezione dedicata ai delitti contro l’eguaglianza).

Mi colpisce ancora di più che tutta la destra si sia astenuta, in Parlamento, sulla decisione di istituire una Commissione, proposta dalla stessa senatrice Segre, per discutere e individuare misure adeguate contro la diffusione del razzismo. Se le cose stanno così, è evidente che c’è ancora molta strada da percorrere per arrivare alla effettiva attuazione dello “spirito” della Costituzione, una strada che deve essere percorsa, prima di tutto, dalle istituzioni, con convinzione e fino in fondo; e poi dagli stessi cittadini, che hanno il dovere di applicare la Costituzione, considerandola democratica e antifascista, anche nella parte in cui proclama il dovere inderogabile della solidarietà.

Se, dunque, non dobbiamo trascurare la pericolosità della crescente diffusione del neofascismo e del “razzismo”, nel senso più ampio e omnicomprensivo, in Italia e in Europa (v. infatti la citata risoluzione 25 ottobre 2018 del Parlamento europeo) non possono nutrirsi dubbi sulla necessità di reagire con tutti gli strumenti che prevede il nostro sistema democratico.

Reagire, ma come? Lo Stato non ha fatto molto, neppure sul piano culturale, in questa direzione. La parte migliore dei cittadini, quella consapevole e attenta, si è mobilitata, ha reagito, sollecitato, chiesto l’intervento degli organi competenti, ma non sempre è stata ascoltata.

E allora, si sono poste in opera tutte le iniziative possibili: manifestazioni, contro- manifestazioni, denunce e sollecitazioni alle Autorità competenti, presìdi in occasione di manifestazioni fasciste, vere e proprie campagne di antifascismo, e di denuncia dei fenomeni più gravi, così via. Tutte azioni meritorie, che devono continuare, cercando di coinvolgere i cittadini, tra i quali ci sono moltissimi onesti e perbene, magari internamente democratici, che però restano alla finestra a guardare e de- plorare. Un vero “presidio”, per intenderci, è valido se non si svolge in un angolo separato e quasi nascosto, ma soprattutto vale se è strumento di convincimento e di chiarimento politico-culturale con i cittadini. E poi ci sono le armi consuete della pressione politica, degli interventi sulle Autorità perché facciano il loro dovere a fronte di manifestazioni fasciste e così via. Infine, c’è la protesta, il farsi sentire con i metodi democratici, che, comunemente, vengono praticati. Questo libro non aspira a invadere un campo sul quale si muovono già, più che correttamente, associazioni, movimenti, partiti (pochi), nella certezza che tutti questi organismi sanno benissimo come operare e dimostrare il proprio disagio, la propria contrarietà, le proprie preoccupazioni.

Noi abbiamo scelto un altro terreno, quello sul quale la stessa conoscenza è meno diffusa e sul quale spesso si naviga senza una sicura bussola. Un tema sul quale c’è molto da dire alle istituzioni e ai cittadini, senza la pretesa di “insegnare” comportamenti, scelte e azioni. Il nostro compito è quello di chiarire, anzitutto, che gli strumenti istituzionali ci sono (per esempio, le leggi) e vanno utilizzati; chiarendo che in campo c’è tutta la Costituzione, a partire da quella XII disposizione finale, così malamente interpretata e applicata, c’è tutto il contesto dei princìpi generali e delle dichiarazioni più significative, contenute nella Carta. Poi c’è il lavoro con i Comuni, con la giustizia, con le scuole, con la stampa. Noi parliamo di “strumenti istituzionali” da utilizzare, e siamo ben consapevoli che molti non li conoscono; e pensiamo che, se ne avessero contezza, sarebbero ben lieti di usarli.

Per questo affrontiamo, prima di tutto, problemi di conoscenza, cercando di fornire elementi tali da trasformarsi an- che in strumenti di azione; chiarendo poi come si può utilizzare tutto ciò che l’apparato istituzionale mette a disposizione, con i limiti di cui si è già detto. Noi confidiamo che questi strumenti possano essere utili, prima di tutto ai cittadini ma poi anche alle stesse istituzioni perché siano partecipi e protagoniste con impegno reale per la democrazia, contro quei fenomeni di degenerazione che sono i fascismi e peggio ancora, sotto certi aspetti, il razzismo.

Si dirà che è un proposito ambizioso; possiamo riconoscerlo, consapevoli dei nostri limiti e della complessità di certe tematiche, ma bisogna uscire, a tutti costi, dalla fase della semplice deplorazione e/o protesta, che – alla lunga – possono diventare sterili.

Fascismo e razzismo sono oggi un problema (uno dei tanti, ma certamente non uno degli ultimi). Bisogna affrontarlo con consapevolezza e saggezza, rivolgendosi ai cittadini e alle istituzioni, per- ché si tratta di applicare la Costituzione e di realizzare i bisogni di libertà, di socialità, di convivenza civile, di uguaglianza, che oggi si impongono, contro ogni pericolo di autoritarismo e contro l’insieme di problemi e di situazioni da cui finisce per scaturire l’odio.

Delimitato il campo, occorre chiedersi se ci siano ancora altri strumenti per reagire alla diffusione del neofascismo e del razzismo nel nostro Paese, ovviamente, ferme restando le misure che possono e debbono essere assunte, con gli strumenti della politica, della cultura, della Costituzione. L’inventiva popolare è in azione da tempo, in tutte le forme che la fantasia può suggerire. Le associazioni, e in particolare l’ANPI, sono per loro natura do- tate di ricca inventiva e non è a loro che si possono dare consigli e raccomandazioni.

Ciò che interessa, in questa sede, è il sistema istituzionale. Sulle manifestazioni fasciste e razziste dovrebbero intervenire gli organi competenti, la Polizia, la Questura, i Prefetti, in diversi casi i Sindaci, infine la Magistratura. Ma questa azione non sempre è adeguata, proprio per le ragioni accennate e che potremmo riassumere in poche parole: il nostro sistema costituzionale non è ancora riuscito, in questi anni, a conformarsi alle indicazioni e ai princìpi della Costituzione. Manca, cioè, una convinzione ferma sul fatto che rigurgiti fascisti, manifestazioni ispirate al passato fascista, ricorso ai simboli del tragico ventennio, accompagnati spesso da manifestazioni di razzismo, sono contrari ai fondamenti, oltre che alle singole disposizioni della Carta costituzionale. Prima ancora di richiamarsi alle leggi vigenti, occorrerebbe convincersi che tutta la Costituzione è antifascista come si è già detto, e come risulta all’art. 1 della Costituzione. Se non si è convinti di questo, se – al più – ci si ferma a un richiamo alla XII disposizione finale della Costituzione, si sottovaluta il problema complessivo e si compie un’operazione già di per sé riduttiva, rispetto all’immagine complessiva di un sistema che non può essere altro che quello voluto da coloro che hanno scritto e approvato la Costituzione.

Richiamarsi a questi fondamentali princìpi non è un lavoro esclusivo del giurista o del politico, ma è un compito o un dovere di ogni cittadino, che deve conoscere il significato delle parole e il valore dei princìpi; e dunque non solo rispettarli, ma pretendere che siano rispettati e fatti rispettare. Quando sentiamo ridurre l’antifascismo della Costituzione alla XII disposizione, ci sentiamo rabbrividire perché ciò significa che a più di settant’anni dall’avvento della Costituzione, non sono passati ancora, nella coscienza comune e nelle istituzioni, i valori essenziali su cui si regge l’intero sistema politico e la stessa convivenza civile.

Dunque, la Costituzione, prima di tutto, interpretata e applicata correttamente, come meglio si vedrà in seguito. Poi ci sono le leggi. Ce ne sono almeno tre, la “Scelba”, la “Reale”, la “Mancino” e ora un’intera sezione del Codice penale dedicata ai delitti contro l’eguaglianza (e dunque anche ai reati di odio).

Come sono applicate queste leggi? Con quanta convinzione e quanta efficacia?

Quali e quanti problemi ne nascono visto che esse sono state emesse (salvo quella recente del Codice penale) in epoche ormai remote? Che concetto ne hanno i Questori, i Prefetti, il Ministro dell’interno e quello della giustizia? Come sono applicate e valutate nella giurisprudenza? E infine, con quali strumenti vengono affrontati i problemi “nuovi”, di più ampio respiro (lo scioglimento delle associazioni che non si adeguano al sistema, le misure cautelari imposte dalla legge Scelba, ma anche dallo stesso Codice di procedura penale)?

Ma ancora, come vedono questa materia i Sindaci e come usano i loro poteri nei casi in cui – appunto – entrano in gioco oltre alla Costituzione, le leggi speciali di cui si è detto?

E infine, come abbiamo accolto e accogliamo il documento del 25 ottobre 2018, del Parlamento europeo contro il dilagare dei fenomeni di neofascismo e razzismo?

Questa è la materia di cui si compone questo libro, di cui dirò – fra breve – i tempi, le modalità e le ragioni originarie.

Come abbiamo spiegato nella premessa, non un libro dedicato a chi già sa e conosce, cioè agli esperti, ma rivolto ai cittadini, alle associazioni e ai soggetti pubblici a cui intendiamo far conoscere quali sono i problemi per un efficace contrasto a livello istituzionale, come si può affrontarli, in qualunque sede a ciò deputata, ma con l’appoggio e il contributo dei cittadini.

Per questo, il libro contiene, nella parte iniziale un rapido elenco della legislazione vigente in materia, a partire dalla Costituzione, di cui si dovrebbe presumere una cognizione diffusa, ma che invece ha bisogno di essere ben conosciuta e compresa a tutti i livelli, a partire dai semplici cittadini fino agli alti funzionari e ai componenti – a pieno titolo e a vari livelli – di ciò che si definiscono, comunemente, come “istituzioni”.

Nonostante queste leggi, molti problemi si pongono, nella realtà e nelle singole sedi in cui devono essere applicate.

Di qui l’informazione sulle questioni principali che oggi si pongono in materia (si veda a tal riguardo la prima parte del volume), nonché sui problemi in sede applicativa e dunque nell’esercizio della giustizia.

Non offriamo sempre soluzioni, ma indichiamo e sottolineiamo la strada da battere per ragionare, conoscere, approfondire e per ottenere un modo di essere e di agire complessivo, nell’intera nazione, corrispondente allo spirito democratico e antifascista della nostra Costituzione. Ciò comporta soffermarsi anche sugli orientamenti della Magistratura, nell’esercizio della giustizia, non sempre chiaramente percepibili sul piano della conoscenza, ma del tutto spiegabili nel contesto generale di cui si è detto in precedenza.

Cerchiamo, insomma, di fornire strumenti di conoscenza e di azione al tempo stesso.

E poi, per chi intenda capire e conoscere meglio, mettiamo a disposizione una serie di “approfondimenti” anche di natura storico-politica, non solo su questioni già trattate nelle parti precedenti, ma anche – per fare un esempio importante – sulla Risoluzione fondamentale del 25 ottobre 2018 del Parlamento dell’Unione Europea, sulla crescente diffusione del fascismo e del razzismo in Europa e sui modi suggeriti per contrastarli.

Insomma, per concludere sul punto, la nostra aspirazione è quella non solo di fornire argomenti e strumenti per contrastare il fenomeno del neofascismo, in tutte le sue forme, con gli strumenti istituzionali, ma anche di contribuire, in qualche modo, allo sviluppo di una cultura diffusa della democrazia, nel contesto di una conoscenza piena di ciò che emerge con nettezza dall’intera Carta costituzionale.

Il nostro sistema democratico ha subìto in questo dopoguerra una serie di violenti attacchi, ha resistito e deve poter resistere ancora oggi, col contributo, l’appoggio e la partecipazione dei cittadini e con un attivo e reale impegno delle istituzioni, sul terreno del consolidamento della democrazia, della quale ne- mici fondamentali sono appunto, il fascismo e il razzismo; occorre, insomma, riferirsi alla Costituzione e ai princìpi e valori che essa ci indica, contrapponendo libertà, uguaglianza, dignità e solidarietà, all’odio che sta percorrendo il nostro Paese e tutto il mondo.

Postilla

Questo libro era pronto per la stampa già da qualche mese. Poi sono sopravvenuti i noti eventi sanitari, tutto s’è fermato e quindi potrà uscire solo dopo l’estate. Tutti i problemi trattati nel libro sono tuttora sul tappeto. Anzi, se sul fronte dei movimenti fascisti italiani c’era stato un po’ di silenzio, in realtà – appena è stato possibile – sono ricomparsi tutti, tali e quali a prima, con la provocazione e la violenza di sempre, il 2 giugno, profanando proprio la Festa della Repubblica, come descritto dal “Corriere della sera” il 7 giugno: “Ultras e neofascisti in piazza – attacchi a polizia e giornalisti”. Nulla di nuovo, dunque.

Ma ancora, sono usciti, in questo periodo, due libri che dimostrano, anche solo con i titoli, l’attualità del nostro lavoro (L’antifascismo non serve più a niente, di Carlo Greppi e Ma perché siamo ancora fascisti? di Francesco Filippi). Significativa la nota con cui essi venivano presentati da un settimanale dei primi di giugno: “Perché, mai come oggi, l’antifascismo è indispensabile”.

Infine, una notizia importante: si è appreso, il 4 giugno, di un provvedimento del GIP di Roma, che dispone il sequestro preventivo della sede nazionale romana di CasaPound. Nel nostro libro si riporta una precedente decisione – in certo modo analoga – del GIP di Bari, poi confermata dalla Cassazione. Qualcosa, dunque, si muove, in senso positivo, anche sul fronte giudiziario. E non possiamo non prenderne atto, visto che questo è uno dei temi ampiamente affrontati nel libro.

Roma, giugno 2020

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