31 agosto 2021

Non dimenticate.

Libertà e liberazione sono un compito che non finisce mai. Non dimenticate. 

Sulla scaletta del ponte
le teste degli impiccati
nell'acqua della fonte
la bava degli impiccati.
Sul lastrico del mercato
le unghie dei fucilati
sull'erba secca del prato
i denti dei fucilati.
Mordere l'aria mordere i sassi
la nostra carne non è più d'uomini
mordere l'aria mordere i sassi
il nostro cuore non è più d'uomini.
Ma noi s'è letta negli occhi dei morti
e sulla terra faremo libertà
ma l'hanno stretta i pugni dei morti
la giustizia che si farà.

Franco Fortini. 




30 agosto 2021

La Storia siamo Noi - I Martiri di Via Tibaldi.

“La Storia siamo NOI” Periodico a carattere storico, ANPI Barona Milano, a cura di Stefania Cappelletti. (No copia incolla, libri e documenti vengono citati).  
 
I Martiri di Via Tibaldi. - È il 28 agosto 1944, tardo pomeriggio. In viale Tibaldi arrivano camionette di fascisti, di brigatisti neri. Obbligano i negozianti a tirare giù le saracinesche, intimano ai cittadini di rientrare nelle loro case e chiudere le finestre. Non deve restare nessuno in strada. Ogni accesso a viale Tibaldi viene bloccato.
Quattro uomini vengono fatti scendere da una delle camionette: devono essere sorretti perché faticano a stare in piedi dopo le torture a cui sono stati sottoposti per ore nella sede della Muti di via Rovello dal famigerato Francesco Colombo (un ragazzino, che riesce ad avvicinarsi in seguito ai cadaveri dei quattro martiri, racconterà di aver visto dei chiodi conficcati nelle loro mani come fossero stati crocifissi).
I quattro partigiani vengono messi uno accanto all'altro davanti al numero civico 26, poco distanti dalla trattoria Roma in cui sono stati arrestati in una retata al mattino, e trucidati a colpi di mitraglia.
La trattoria Roma era gestita da Daniele Richini che apparteneva alla 113ª Brigata Sap. Spesso i quattro partigiani erano suoi ospiti, tenevano incontri nel suo locale, si riposavano e mangiavano e, non di rado, gli lasciavano in custodia armi e munizioni. Un sistema pericoloso, non rispettoso delle regole della clandestinità. Anche Daniele Richini viene arrestato, ma il suo destino non è la fucilazione immediata bensì l'invio ad un campo di concentramento nazista: Mauthausen, da cui tornò dopo la liberazione.
Ma chi sono questi quattro partigiani?
Albino Abico (24 anni), Giovanni Alippi "Galippo"(23 anni), Bruno Clapiz (31 anni) e Maurizio Del Sale (47 anni).
Tutti e quattro provengono da Baggio, hanno una radicata storia antifascista: la famiglia Abico era una nota famiglia socialista, punto di riferimento per tutti gli antifascisti baggesi e sorvegliata speciale dai fascisti. La loro casa, in via Scanini 27, era luogo di ritrovo per le riunioni clandestine, per ospitare renitenti alla leva che volevano andare a lottare in montagna, come deposito per volantini e stampa clandestina. La famiglia Abico aveva conosciuto fin dagli anni Venti le perquisizioni, le botte, il carcere e anche il confino.
Albino (nato a Chiaravalle il 24 novembre 1919) lavorava come operaio metallurgico. Viene mandato in Russia come autista di ambulanze ma, ferito in più parti del corpo, viene rimpatriato. Alla notizia dell'armistizio è ancora in caserma e subito agisce insieme ad altri soldati requisendo armi ed entrando nella lotta clandestina. Prende infatti contatti con gli antifascisti milanesi e, quando a metà ottobre 1943, Egisto Rubini forma la 3ª GAP Albino è tra i primi ad entrarvi.
Giovanni Alippi, "Galippo" (nato a Quarto Cagnino il 24 settembre 1920) aiutava il padre nella coltivazione di un piccolo terreno a Quarto Cagnino. Dopo il servizio di leva inizia attivamente a partecipare ad attività antifasciste di propaganda diffondendo copie dell'"Unità", motivo per cui è già segnalato ai fascisti. Dopo l'uccisione del federale Aldo Resega e l'attentato al suo corteo funebre, a Quarto Cagnino vengono arrestati 23 antifascisti, tra cui anche Giovanni: viene rilasciato circa due mesi dopo perché non esistevano prove a suo carico. In realtà faceva già parte della 3ª GAP di Egisto Rubini.
Bruno Clapiz (nato a Trieste il 19 aprile 1913) arriva a Milano dopo l'8 settembre 1943 con la moglie e il figlio di 5 anni. Abitava in via Forze Armate, 177. Faceva il barbiere e dopo l'armistizio riesce ad entrare nella 3ª Gap di Rubini.
Maurizio Del Sale (nato a Suno Novarese il 16 aprile 1897), di famiglia contadina, abitava in una cascina ad Assiano, un piccolissimo borgo attaccato a Baggio. Irriducibile antifascista, anarchico, subito dopo l'8 settembre entra nella lotta con la Gap di Rubini.
Nel febbraio 1944 la 3ª Gap subisce una tremenda serie di arresti, perlopiù su delazione. Cadono in mano ai nazifascisti quasi tutti i gappisti tra cui anche l'eroico comandante Egisto Rubini che, dopo le prime atroci torture, si impicca nella sua cella per evitare di tradire i compagni.
Per mesi (fino a giugno 1944 quando arriva a Milano il comandante gappista Giovanni Pesce, "Visone") la lotta antifascista milanese è bloccata, c'è paura, mancano i collegamenti, le direttive, insomma una guida vera e propria.
Bruno Clapiz sale in montagna, in Val Grande, ed entra nell' 85ª Brigata Garibaldi comandata da Mario Muneghina.
Abico, Alippi, e Del Sale formano un loro gruppo con sede nella cascina di Maurizio. Vengono chiamati il "gruppo di Assiano". Con loro ci sono anche Cesare e Giuseppina Tuissi, fidanzata di Giovanni ("Gianna" nota per la triste vicenda del capitano "Neri" a fine guerra), Mario Negroni, "Nando", Edoardo Tia, "Pino" e altri.
Sono molto attivi ma non attenti alle regole della lotta clandestina e della guerriglia urbana: in occasione del primo anniversario della caduta del fascismo, il 25 luglio 1944, con una quarantina di altri giovani, in pieno giorno invadono Baggio armati di moschetti e pistole costringendo alla fuga un gruppo di fascisti. Nel giro di un'ora i fascisti tornano con più forza e con un camion carico di mitragliatrici. È inevitabile lo scontro: Abico e Alippi si appostano dietro un avvallamento in attesa dell'arrivo dei repubblichini. Alle 14 si sente il rumore del camion che viene accolto a colpi di mitragliatrici e bombe a mano ed è obbligato alla ritirata, non senza riportare feriti. In via Scanini viene ucciso un Caporale della milizia e i fascisti riescono a tornare solo la sera per recuperare il loro morto.
La lotta si era svolta a viso scoperto e i giovani baggesi sapevano di essere stati riconosciuti, così, senza indugi, durante la notte partono per la Val d'Ossola, la Val Grande e l'Oltrepò Pavese.
Abico, Alippi e Del Sale raggiungono l' 85ª Brigata Garibaldi "Valgrande martire". Vi rimangono poco tempo ma abbastanza per entrare in contatto con Ruggero Brambilla, "Nello", e per riprendere la lotta in città nella GAP Mendel. Insieme a loro torna a Milano Bruno Clapiz. Di fatto sono il gruppo di combattimento in città dell'85ª Brigata cui forniranno, con le loro azioni, armi e materiali.
Le loro azioni si susseguono in modo incalzante: aiutano e nascondono i ricercati (in una cascina nascondono tre francesi e in una cantina in via Scanini un altro fuggiasco); procurano cibo per i partigiani in montagna, disarmano guardie e soldati come a Quinto Romano dove riescono anche ad entrare nel deposito di armi allestito nella scuola materna o come alla caserma di Piazzale Brescia dove, indossando divise della Marina militare, requisiscono un camion pieno di armi e munizioni e lo portano in Val d'Ossola superando tranquillamente tutti i posti di blocco nazifascisti.
L'8 agosto, galvanizzati dalla Liberazione di Firenze di due giorni prima, decidono di fare un'azione dimostrativa per tutta la città: partendo su un'automobile dalla stazione di porta Genova lanciano manifestini inneggianti la liberazione di Firenze e copie dell'"Unità" clandestina percorrendo corso Genova, via Torino, Corso Vittorio Emanuele, Corso Venezia, Corso Buenos Aires. Li segue un furgoncino con a bordo altri due partigiani, "Milan" e "Pino"; hanno l'appoggio degli altri uomini di "Nello". Due motociclisti repubblichini cercano di fermarli ma vengono uccisi in piazza Piola.
È proprio questa azione a spingere i nazifascisti a stringere il cerchio attorno a loro; ci sono versioni diverse su come il nemico riuscì a scoprire il luogo e il giorno del loro incontro: c'è chi parla di spie, tante ce n'erano a Baggio; chi della vendita dell'auto, con cui fu compiuta questa azione, a dei malavitosi che non si fecero pregare molto per dare le informazioni richieste. Resta il fatto che la Muti giunse alla trattoria Roma a colpo sicuro.
Poco prima di essere riportato in viale Tibaldi per la fucilazione Albino Abico (che verrà insignito a fine guerra della medaglia d'argento al valore militare) scrive l'ultima lettera alla sua famiglia:
"Carissimi, mamma, papà, fratelli, sorella, compagne tutti, mi trovo senz'altro a breve tempo dall'esecuzione, mi trovo però calmo e muoio sereno con l'animo tranquillo contento di morire per la nostra cara e bella italia. Il sole risplenderà su noi un domani perché niente di male sono sicuro di aver fatto. Voi siate forti come lo sono io e non disperate; voglio che voi siate fieri ed orgogliosi del vostro caro Albino che sempre vi ha voluto tanto bene.
Un ricordo particolare al caro fratello Ambrogio che dal giorno che partì per la Russia non l'ho più rivisto.
Vi abbraccio tutti e vi bacio portando meco il ricordo di voi tutti.
Vostro affezionatissimo Albino." -
Fonti:
-Giuliana Cislaghi "Baggio antifascista", edizione 2005 Anpi
-Luigi Borgomaneri "Due inverni un'estate e la rossa primavera", Franco Angeli
-Piero Malvezzi, Giovanni Pirelli, "Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana", Einaudi
- Giornale clandestino "La fabbrica" 15 settembre 1944.

La Fabbrica - 15 settembre 1944





Corriere della Sera - 30 agosto 1944.





L'ultima lettera di Albino (Fonte INSMLI)






Albino Abico.





Giovanni Alippi.






















Maurizio Del Sale.



















Bruno Clapiz.

20 agosto 2021

Possiamo e vogliamo ricordare Gino Strada e Teresa Sarti.

Care e cari tutti, leggiamo, con un certo fastidio, molta ipocrisia nei commenti di politici che da vivo hanno insultato, osteggiato o ignorato Gino Strada ed Emergency e che non hanno esitato a tagliare la sanità  pubblica o finanziare la guardia costiera libica o non ostacolare la  costruzione e la vendita di  armi nel mondo.

Possiamo ricordare Gino Strada e Teresa Sarti dedicando loro Vie e/o Piazze come ci ricorda la raccolta firme promossa alcuni giorni fa e che ha raggiunto “ad oggi” circa 50000 firme, ma possiamo farlo anche con una "legge Gino Strada” contro la produzione e il commercio di armi in attuazione dell'articolo 11 della Costituzione che abiura la guerra e una "legge Gino Strada” sulla assoluta gratuità della sanità pubblica con abolizione del profitto in materia di salute in attuazione dell'art. 32 della Costituzione sul diritto alla salute per tutti. Questo sarebbe davvero onorare Gino. Questo lo avrebbe fatto felice davvero. Ovviamente un altro modo per onorarlo e ricordarlo è sostenere Emergency per aiutare altri bisognosi di cure e assistenza oltre gli 11 milioni di cittadini del mondo già curati (anche in Italia) gratuitamente e per bene, senza distinzione alcuna. Perché "I diritti devono essere di tutti sennò  chiamateli  privilegi"(cit. Gino Strada). I modi sono tanti: fare la tessera, un SDD, una donazione o partecipare alle varie  iniziative  di Emergency  per diffondere una cultura di Pace e diritti. Siamo certi che cosi facendo lo faremmo felice e continueremmo la sua immensa opera umanitaria a favore degli ultimi e degli oppressi ovunque nel mondo perché "Se uno di noi, uno qualsiasi di noi esseri umani, sta in questo momento soffrendo come un cane, è malato o ha fame, è cosa che ci riguarda tutti. Ci deve riguardare tutti, perché ignorare la sofferenza di un uomo è sempre un atto di violenza, e tra i più vigliacchi” (Gino Strada)


Sezione ANPI Barona Milano.

20 agosto 2021. 

16 agosto 2021

Bella Ciao Maurizio Magnani... il tuo viaggio senza ritorno, tutto il dolore del mondo...

Piangiamo un Compagno, un amico, un fratello, Maurizio se ne andato. Abbruniamo la nostra bandiera, il tuo ultimo viaggio, il dolore del mondo, Un abbraccio a Paola, un abbraccio a tutti quell* che le han voluto bene ed hanno avuto la fortuna di conoscerlo, camminare a fianco a lui. 

Riprendiamo le parole di Ivano Taietti, un ultimo emozionante saluto, Bella ciao Maurizio. 

"Maledizione Maurizio... Bella Ciao. Ci sono morti leggere come una piuma, e altre pesanti come il monte Tai. Anni di sogni, risate, progetti, anche di dolore, un ultima telefonata, quindici giorni fa, "mi sa che non c'è piu niente da fare" ed io con il dolore nel cuore, che cercavo di farti sorridere ancora, le parole che a nulla servono, "ma dai, ma su, dai che vengo (in Appennino) ci beviamo un vinello biondo e fresco, guardiamo gli occhi belli delle Donne, progettiamo l'autunno che per l'inverno c'è tempo" ma qualcosa nella voce si rompeva... Maledizione Maurizio, cosi presto. E il tuo sorriso nei cortei, nel Servizio d'Ordine ANPI, nelle feste, il tuo impegno per la Palestina, le tue telefonate tra una terapia e l'altra, sempre di speranza, non per la malattia, che prendeva solo una piccola parte del futuro, ma per un mondo migliore che sempre da quando ti conosco era la base del tuo vivere. Maledizione Maurizio, ed ora dove ti cerco? Dove ti telefono? E tutti quei progetti che dovevamo realizzare, e la festa ANPI/Palestina? E quel bicchiere di vino? E le colline verdi negli occhi, i prati della memoria? E questa ANPI che ci fa "disperare"?

E poi... poi? ... "Una verde frontiera, una verde frontiera tra il suonare e l'amare, verde spettacolo in corsa da inseguire, da inseguire sempre, da inseguire ancora, fino ai laghi bianchi del silenzio fin che Athaualpa, o qualche altro Dio non ti dica descansate niño, che continuo io, ah io sono qui, sono venuto a suonare, sono venuto a danzare, e di nascosto ad amare"..."




"Nè fascista, nè Antifascista"

“Né fascista, né antifascista”  
La posizione e le parole del candidato Sindaco del centrodestra per Milano; Dott. Bernardo sono vergognose.
Non definirsi antifascista e non considerare la differenza profonda tra fascismo e antifascismo significa non accettare il sistema Democratico del nostro Paese e la nostra Costituzione che sono nati grazie al sacrificio, al coraggio e alla forza di migliaia di donne e uomini Antifascisti.
Milano, città medaglia d'oro al valor militare, è stata liberata dai suoi Partigiani. Qui, è vero, in una piazzetta angusta e soffocante è nato anche il fascismo. Ma subito trovò Milano, più di altre città, pronta ad affrontarlo. Milano che ha visto lottare nelle sue strade alcuni tra i migliori intellettuali, politici, uomini e donne, antifascisti d'Italia che mai piegarono la testa al regime dittatoriale.
Non essere Antifascisti significa non solo non ricordare la vita e la memoria di tutti quei Partigiani e Partigiane che si sacrificarono per riportarci alla Libertà ma anche di tutti quelli/e che, nel dopoguerra, continuarono ad impegnarsi per la costruzione di una città e di un Paese in cui fossero garantiti tutti i diritti basilari delle persone e mai più si ripresentasse una teoria politica tanto abbietta e fatta di morte.
Non prendere posizione, lasciar fare significa, usando le parole di Cesare Pavese, essere già un fascista.
Oggi 14 agosto ricorre l'anniversario dell'atroce assassinio di Irma Bandiera, "Mimma", una delle Madri del nostro Paese che non esitò un attimo ad intraprendere la battaglia contro il fascismo e che dai suoi violenti sgherri venne torturata, mutilata cavandole gli occhi, i suoi bellissimi occhi, incapaci di reggerne lo sguardo, e infine trucidata a colpi di mitraglia e lasciata esposta come monito.
Ecco, noi non dimentichiamo il suo coraggio e il suo esempio come non dimentichiamo che cosa è stato e che cosa è ancora oggi il fascismo, un movimento violento, carico di odio, che divide la società in categorie di "superiori" e "inferiori", che ancora appoggia il razzismo e gode della morte degli uomini. Dott. Bernardo il “noi” e la storia di Milano è solo Antifascista.  
- Sezione ANPI Barona Milano. 14 agosto 2021.



Bella ciao Partigiano di pace, bella ciao Gino.


 











L’ANPI Barona Milano tutta piange un “Partigiano”. Un uomo che per tutta la vita si è speso senza alcuna tregua e riserva, energia per combattere l’indifferenza, la violenza, la guerra, poche parole, comunicati, ordini e consigli, da lui solo fatti ed azioni per salvare vite. Abbracciamo tutta Emergency, e tutti quelli che le han voluto bene, tanti, molti di noi l’hanno conosciuto e quante volte sognato un suo ruolo nello “Stato” Italia, conoscevamo il suo valore, il suo spendersi per il bene del mondo. Piangiamo un Compagno, un amico, e il dolore di molti che con lui hanno lavorato, collaborato è il nostro dolore. Si davvero Bella Ciao Partigiano Gino Strada.

(In foto: Ad ANPI Marzabotto, Gino Strada con il nostro Presidente di Sezione Ivano Taietti)

ANPI Bobbio e ANPI Zerba. Agosto di memoria.



 

09 agosto 2021

Speciale "La storia siamo NOI" Piazzale Loreto Milano.

Numero speciale per Piazzale Loreto Milano - 10 agosto 1944. "La storia siamo Noi" periodico ANPI Barona Milano, a cura di Stefania Cappelletti. Le ultime lettere, gli ultimi pensieri scritti giunti sino a noi di sette dei quindici martiri di Piazzale Loreto Milano. 


Gian Antonio Bravin, Giulio Casiraghi, Renzo del Riccio, Andrea Esposito, Domenico Fiorani, Umberto Fogagnolo, Tullio Galimberti, Vittorio Gasparini, Emidio Mastrodomenico, Angelo Poletti, Salvatore Principato, Andrea Ragni, Eraldo Soncini, Libero Temolo e Vitale Vertemati. 

"Quanto lontani sono i giorni che nella nostra città si era fatto fuoco sulla folla insorta è un fremito di sollevazione aveva percorso l'Italia. Ma allora come oggi mancava il lievito dell'azione e quando si diceva fatica da schiavo e paga di fame, non erano spunti romantici né pretesti tribunizi, erano gridi di umanità: se vi sono delle piaghe che bruciano e dei bisogni che spingono, si esce e si fa guerra. Tu, Nadina, mi perdonerai se oggi io gioco la mia vita. Di una cosa però è bene che tu sia certa. Ed è che io sempre e soprattutto penso ed amo te ed i nostri figli. V'è nella vita di ogni uomo però un momento decisivo nel quale chi ha vissuto per un ideale deve decidere e abbandonare le parole."

Umberto Fogagnolo, 31 luglio 1944.











"Il mio pensiero alla mia cara moglie e ai miei cari, il mio corpo alla mia fede. Giulio"

Queste righe sono state scritte da Giulio Casiraghi sulla porta del carcere di Monza prima che lo trasferissero a San Vittore a Milano.
Giulio Casiraghi, agosto 1944. 













"Pochi istanti prima di morire a voi tutti gli ultimi palpiti del mio cuore. W l'Italia".
Domenico Fiorani, 10 agosto 1944.












"Titti carissima, (...) Io sono costantemente vicino a te e alla mamma. Sapervi tranquille e che non vi lasciate mancare il possibile mi é di gran conforto e mi rende più tranquillo."
Salvatore Principato carcere di Monza 31 luglio 1944.












"Siamo a San Vittore ci mandano in Germania. Forse per me è finita, ma voi dovete continuare la lotta anche per il vostro paparino che gli bacia bacia sempre tanto"
Eraldo Soncini, 10 agosto 1944.












"Coraggio e Fede sempre. Fede ai miei adorati sposa e figlio e fratelli, coraggio coraggio, ricordatevi che vi ho sempre amato abbracci vostro Libero"

Libero Temolo, 10 agosto 1944












"Muoio per la Libertà. In alto i cuori, W l'Italia!"
Angelo Poletti, 10 agosto 1944



77° anniversario strage di Sant'Anna di Stazzema


 

06 agosto 2021

Numero due. Agosto 2021. "La Storia siamo NOI"

"La Storia siamo NOI" - Agosto 2021 numero 2° a cura di Stefania Cappelletti. 

È l'alba del 10 agosto 1944, si aprono le porte di alcune celle a San Vittore. 15 uomini vengono fatti uscire e scendere nel cortile.
Il capo della Provincia, Parini, scrive subito un promemoria al Duce: "hanno cominciato a svegliarli alle 4:30, li hanno fatti scendere in cortile e hanno dato loro una tuta. Qualcuno avrebbe cominciato a spargere la voce che sarebbero stati destinati al servizio del lavoro in Germania. Sul registro di San Vittore vengono scaricati con l' annotazione manoscritta "trasferiti per Bergamo".
La sera prima il comandante provinciale della GNR (guardia nazionale repubblicana), il colonnello Pollini, riceve l'ordine dal comando militare germanico di fornire per l'alba del giorno dopo un plotone. 
Da San Vittore a piazzale Loreto il tragitto è breve. Ad attenderli gli sgherri della Muti, servi degli invasori nazisti comandati, qui a Milano, dal capitano Theodor Saevecke.
La rappresaglia viene giustificata con un attentato avvenuto il giorno prima in viale Abruzzi contro un furgone delle forze armate tedesche. Un obiettivo assolutamente inutile,  un camion che portava derrate alimentari. Nessun tedesco morì o e l'autista venne solo leggermente ferito dal rudimentale ordigno esplosivo. Non esisteva alcun motivo per applicare il bando del maresciallo Kesserling (lo stesso bando che causò la morte per fucilazione di 335 innocenti alle Fosse ardeatine). Purtroppo, invece, ci furono vittime tra i cittadini milanesi. 
Nessuna squadra partigiana, gappista o sappista, ha mai rivendicato quell'azione.
Il vero motivo della rappresaglia decisa da Saevecke è il tentativo di incutere terrore nella cittadinanza, di togliere terreno e appoggio alla 3ª GAP (gruppi di azione patriottica) e alle SAP (squadre d'azione patriottica) che negli ultimi mesi avevano messo alle strette il nemico nazifascista con una serie di importantissime azioni colpendo coraggiosamente senza sosta.
Parini scrive, dopo il resoconto avuto dal colonnello Pollini, come si svolse la fucilazione dei 15 ostaggi: "Avvenne una sparatoria disordinata. I disgraziati si erano intanto un po' sbandati in un estremo tentativo di fuga e quindi furono colpiti in tutte le parti del corpo. Uno di essi, ferito a morte, riuscire ad attraversare il piazzale entrare in casa e salire sino al pianerottolo del secondo piano, dove spirò in un lago di sangue."
Ma secondo Saevecke non era sufficiente fucilare 15 uomini. Ordinò che i corpi venissero lasciati lì, sorvegliati dai mutini che formavano un cordone intorno ai cadaveri, affinché tutta la popolazione potesse vederli e capire chi comandava. 
Non ci volle molto perché la notizia si spargesse in giro per la città. Si formò velocemente una folla di gente che restava a guardare attonita, disperata e rabbiosa, questa scena disumana. 
Sopra i cadaveri era stato affisso un cartello firmato dal comando germanico che indicava nell'attentato di viale Abruzzi la causa della rappresaglia. 
Su "La nostra lotta ", organo del partito comunista Italiano, si legge:
"Durante tutta la giornata il popolo milanese si è riversato sulla piazza Loreto a rendere omaggio a 15 dei suoi migliori figli. Durante tutta la giornata gli sgherri della Muti, di guardia ai fucilati, hanno dovuto sparare continuamente colpi di fucile, per tenere lontano disperdere la folla che diventava 
sempre più numerosa e minacciosa davanti ai caduti."
In diverse fabbriche milanesi gli operai fermarono il lavoro. Alla Pirelli i lavoratori innalzarono un grande cartello con la scritta "Temolo". 
Fu solo grazie all'intervento del cardinale Schuster che le salme poterono essere raccolte. Mazzi di fiori deposti dai lavoratori e dai cittadini sul selciato intriso di sangue rimasero per lungo tempo a testimoniare la solidarietà della popolazione milanese ai suoi martiri e alla lotta partigiana.
In origine l'elenco degli ostaggi era di 26 persone, tra queste c'era anche Giuditta Muzzolon che all'ultimo venne graziata e invece di essere fucilata venne mandata in un campo di concentramento (Ravensbrück).
Altri 10 ostaggi videro la pena commutata in condanna penitenziaria fino al prossimo sabotaggio: in realtà vennero tutti mandati nei campi di concentramento in Germania.
Così scriveva Camilla Cederna, una delle tante donne che accorse sul luogo dell'eccidio: "formavano un gruppo tragicamente disordinato, per via del sangue, delle pose scomposte, dell'essere una piazza quasi a contatto con i passanti. Uno addosso all'altro, pieni di mosche, sotto un sole tremendo, chi con le braccia aperte Chi è rannicchiato; e sui cadaveri un cartello: "il comando militare tedesco". 
Importante la testimonianza di Giovanni Pesce, "Visone", comandante della 3ª GAP: 
"In piazzale Loreto una folla sconvolte sbigottita. Si respira ancora l'odore acre della polvere da sparo. I corpi massacrati sono quasi irriconoscibili. I briganti neri, pallidi, nervosi, torturano il fucile mitragliatore ancora caldo, parlano ad alta voce, eccitatissima per aver sparato l'intero caricatore. Sbarbatelli feroci, vicino ai delinquenti della vecchia guardia avvezzi al sangue ai massacri, ostentano un atteggiamento di sfida, avvolgendo le spalle alle vittime, il ceffo alla folla".

Corriere  della Sera. 11 agosto 1944


LA FABBRICA 15 settembre 1944

















01 agosto 2021

Sezioni ANPI Municipio 6 Milano. Assemblea precongressuale.






 

Bologna 2 agosto 1980. Ricordare per non dimenticare...


 

ANPI Val di Nizza (Pv). In ricordo del Partigiano Gigino Panigazzi.


 

Ai quindici di Piazzale Loreto - Milano 10 agosto 2021.

Salvatore Quasimodo.  - Ai quindici di Piazzale Loreto.

Esposito, Fiorani, Fogagnolo,
Casiraghi, chi siete? Voi nomi, ombre?
Soncini, Principato, spente epigrafi,
voi, Del Riccio, Temolo, Vertemati,
Gasparini? Foglie d’un albero
di sangue, Galimberti, Ragni, voi,
Bravin, Mastrodomenico, Poletti?
O caro sangue nostro che non sporca
la terra, sangue che inizia la terra
nell’ora dei moschetti. Sulle spalle
le vostre piaghe di piombo ci umiliano :
troppo tempo passò. Ricade morte
da bocche funebri, chiedono morte
le bandiere straniere sulle porte
ancora delle vostre case. Temono
da voi la morte, credendosi vivi.
La nostra non è guardia di tristezza,
non è veglia di lacrime alle tombe:
la morte non dà ombra quando è vita.




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