Associazione Nazionale Partigiani d'Italia - ANPI Barona Milano.
29 gennaio 2022
26 gennaio 2022
ANPI Municipio 6 Milano - 27 gennaio 2022.
Giorno della Memoria 2022
Luis Sepulveda scriveva: “In un angolo del campo di concentramento, a un passo da dove si innalzavano gli infami forni crematori, nella ruvida superficie di una pietra, qualcuno, chi?, aveva inciso con l’aiuto di un coltello forse, o di un chiodo, la più drammatica delle proteste: “Io sono stato qui e nessuno racconterà la mia storia”. (da “Le rose di Atacama”)
Purtroppo sono migliaia i nomi che si sono dissolti nei campi di concentramento insieme ai volti, alle voci, alle storie di quelle vite annientate, a volte con un preciso sadico metodo che riusciva a calcolare quasi precisamente in quanto tempo il deportato, sottoposto al lavoro massacrante e lasciato quasi a digiuno, avrebbe impiegato per morire; altre volte la morte avveniva per il guizzo del carnefice, il gusto di uccidere perché si poteva uccidere senza condanna, anzi, magari con tanto di elogio.
Si riuscirà mai a dare un nome a tutte le vittime del nazifascismo? Sarà mai possibile riuscire a scoprire anche solo un piccolo brandello delle loro vite?
Noi conosciamo i nomi e qualche dettaglio di otto partigiani della Barona deportati e morti nei campi di concentramento nazisti:
Luigi Bossi, partigiano nelle Brigate Matteotti, morto a Ebensee il 23 aprile 1945 a soli 22 anni; Guido Cimini, partigiano della Brigata Volante “Aldo Oliva” della Divisione Ticino, morto a Dachau il 6 febbraio 1945 a 46 anni; Luigi Corradini, partigiano della 114ª Brigata SAP, morto a Gusen il 18 marzo 1944 a 36 anni; Vittorio Malandra, partigiano nella 128ª Brigata Garibaldi SAP, morto a Mauthausen il 22 aprile 1945 a 51 anni; Vittorio Morneghini, partigiano della 113ª Brigata SAP, morto a Gusen il 18 marzo 1944 a 36 anni; i fratelli Giovanni e Pietro Negri, partigiani della 113ª Brigata Garaibaldi SAP, morti a Mauthausen rispettivamente il 3 maggio 1945 (2 giorni prima della liberazione del campo), a 20 anni, e il 5 ottobre 1944 a 38 anni; Adriano Pogliaghi, partigiano delle squadre d’azione giovanili del PSI e della Brigata Cucciniello, morto a Gusen il 19 aprile 1945 a soli 21 anni.
Non conosciamo il volto di Vittorio Malandra, non abbiamo una sua foto, ma sappiamo che lavorava a Sesto San Giovanni, alla Breda come verniciatore e che partecipò agli scioperi del marzo 1944. Fu prelevato in piena notte dalla sua abitazione, in viale Famagosta 4. Nonostante le privazioni, le sevizie, la fatica, Malandra non si fece piegare e disumanizzare dal lager nazista e prese parte al comitato di liberazione che agiva clandestinamente all’interno di Mauthausen e che progettava una rivolta. La rivolta venne scoperta dai nazisti che tra il 21 e il 25 aprile uccisero 472 internati, tra cui 84 deportati politici italiani, compreso Vittorio.
Giovanni e Pietro Negri furono arrestati a causa di un delatore, lo stesso che fece arrestare anche Vittorio Morneghini e altri 5 giovani partigiani della Barona. Furono tutti torturati a San Vittore. Morneghini non morì di stenti, di malattia, ma fucilato per aver tentato la fuga dal campo di concentramento di Gusen. Non si diede per vinto fino alla fine.
Indomito anche Adriano Pogliaghi. L’unica foto che abbiamo di lui mostra un giovane dal volto serio, lo sguardo fermo, sicuro. E proprio così doveva essere Adriano, nonostante la sua giovanissima età. Negli scioperi del marzo 1944 insieme ad altri tre partigiani (Arrigo Veneri, Angelo Doninotti e Paolo Barbieri) asportò un tratto di binario della rete tramviaria per bloccare il transito dei tram. Arrestati dai militi della “Muti” vennero obbligati a camminare in mezzo alla folla portando in spalla il binario divelto. Poi, Adriano, che aveva l’obbligo di leva, fu arruolato nella marina militare ma scappò e tornò a lottare a Milano. Venne arrestato nuovamente dopo che, in seguito a torture, dei suoi compagni fecero il suo nome.
Tra i partigiani 113ª Brigata Garibaldi Sap della Barona che vogliamo ricordare c’è anche Eugenio Esposito, sopravvissuto a Flossenburg. Eugenio è figlio di Andrea Esposito, uno dei 15 martiri di piazzale Loreto. Vennero arrestati insieme appena usciti dalla loro abitazione, in viale Faenza 3. Anche Eugenio, inizialmente, avrebbe dovuto far parte del gruppo di prigionieri da fucilare quel 15 agosto 1944, ma la sua condanna venne all’ultimo mutata e venne deportato il 16 agosto, inizialmente per Bolzano. Aveva appena 18 anni.
Solo una volta rientrato a Milano, deperito, conservando la sua giacca da deportato, venne a scoprire della tragica fine di suo padre e volle andare subito sul luogo della crudele rappresaglia. Sul posto, tra i fiori e le corone, c’era il drappello dei Vigili Urbani che, saputo chi fosse, si misero sull’attenti.
Questi uomini finirono nei campi di concentramento nazisti per la loro lotta di libertà, per gli alti valori che li spinsero a mettere in gioco le loro vite. Noi gli siamo debitori, non solo il 27 gennaio, ma tutti i giorni. Non solo non dobbiamo dimenticare quanto successo, ma dobbiamo indignarci e lottare ogni volta che accade. Siamo ancora molto lontani dal poter dire che non accadrà mai più se in Europa tornano muri e filo spinato e se i mari sono cimiteri di innocenti.
Stefania Cappelletti - Presidente ANPI Barona Milano.
24 gennaio 2022
21 gennaio 2022
19 gennaio 2022
Il Presidente, la Costituzione e l'Antifascismo. ANPI.
Il Presidente, la Costituzione e l’Antifascismo
L’identikit del Capo dello Stato in base ai dettami della Carta fondamentale della Repubblica - 19 gennaio 2022.
In questi giorni sulla stampa e nel dibattito politico sulla elezione del nuovo Presidente della Repubblica si alternano nominativi spesso avanzati con approssimazione e qualche volta grossolanità. Non è certo compito dell’Anpi entrare in questa discussione che ancora una volta rivela una speciale debolezza della politica e una particolare propensione alla personalizzazione, spesso sorvolando sui doveri e sui poteri che afferiscono alla più alta carica dello Stato.
Vorrei perciò ricapitolare sommariamente ciò che la Costituzione prescrive in merito alle competenze e alle peculiarità del Presidente della Repubblica; da ciò infatti, e solo da ciò, declinato nella specifica situazione del Paese, si può desumere il ragionevole profilo della figura che è opportuno insediare sul più alto scranno della Repubblica.
In altre parole è meglio partire da una riflessione sui compiti e le responsabilità della figura del Presidente, rigorosamente esposte nella Carta, per arrivare poi all’individuazione della singola persona. È giusto che la politica segua vie più complesse, ma a condizione che il metodo sia rigorosamente rispettoso del testo costituzionale e non si riduca, specie nella drammatica contingenza in cui si trova il Paese e che rappresenta un unicum della storia nazionale dal secondo dopoguerra, a un deludente toto-presidente.
L’art. 54 secondo comma recita: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”. L’onore rinvia ai valori di rettitudine e dignità, oltre che di onestà, da cui deriva fra l’altro il termine onore dal punto di vista etimologico. La parola disciplina allude alla rigorosa osservanza di un complesso di norme di varia natura. Va da sé che il primo cittadino a cui sono affidate funzioni pubbliche è il Presidente della Repubblica. È di conseguenza irragionevole immaginare che una persona che non si sia distinta per – appunto – disciplina e onore sia indicata per assumere tale altissima responsabilità. In questo caso, infatti, verrebbe meno un carattere essenziale che va attribuito alla figura del Presidente e che è quello dell’autorevolezza.
Il Presidente della Repubblica rappresenta l’unità nazionale, recita l’art. 87. Di conseguenza tale figura per definizione, rappresentando l’unità nazionale, non può essere rappresentativa di una parte politica, come il presidente o il segretario di un partito, e comunque occorre che attorno al suo nominativo si raccolga il più ampio consenso possibile, e che la sua persona sia vista dalla larga opinione pubblica come figura unificante e unitaria, oltre che come esempio di correttezza e di impegno civile e sociale. Sia chiaro che questa rappresentazione dell’unità nazionale non è concepibile come un nebuloso punto intermedio fra opinioni opposte, perché dev’essere saldamente ancorata ai valori costituzionali. Non ci può essere, per esempio, una via di mezzo fra solidarietà ed egoismo sociale, fra democrazia e autoritarismo, fra fascismo e antifascismo. Ed è altrettanto evidente che il Presidente, nel momento in cui diventa tale, pur non abdicando alle sue personali convinzioni politiche, si mette al servizio di un solo dominus, la Costituzione. Ciò che deve manifestare, come sottolinea Gianfranco Pasquino, è autorevolezza (come accennato) e indipendenza, il che vuol dire che egli dovrà essere del tutto autonomo dal consenso attribuitogli da questo o quel partito, e assieme interprete e formatore del sentire comune, del sentimento popolare. In sostanza l’unità nazionale non è “una nozione neutra, amorfa, ma piena di contenuti” (Gustavo Zagrebelsky). Aggiungo che sarebbe bene che i Grandi Elettori, fermo rimanendo l’intoccabile carattere di secondo grado delle elezioni presidenziali, non si limitino a rappresentare le pur essenziali loro opinioni, ma ascoltino ed interpretino il buon senso popolare, le propensioni dei movimenti, delle associazioni, dei sindacati, del mondo della cultura e del lavoro. Nella grave situazione attuale dell’Italia, in ragione della attuale fragile tenuta della sua coesione sociale, questa rappresentazione dell’unità nazionale nella figura del Presidente è una necessità imprescindibile ed urgente.
Il Presidente della Repubblica “presiede il Consiglio Superiore della Magistratura” (art. 87 e 104); il che non solo presuppone una figura in grado di garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura da qualsiasi altro potere (art. 104), ma esclude a rigor di logica qualsiasi persona che sia stata condannata in via definitiva, a maggior ragione per reati che abbiano comportato un danno per lo Stato. In una parola, per usare un aggettivo desueto, il Presidente dev’essere una figura integerrima.
Il Presidente della Repubblica “ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere” (art. 87 Cost.). Mai come oggi, al tempo in cui spira il vento di una nuova guerra fredda, occorre una figura che difenda la pace nel mondo e che operi per evitare ogni coinvolgimento bellico del nostro Paese, nel pieno rispetto dell’art. 11 della Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Troppe volte dall’inizio del nuovo millennio il Paese è stato coinvolto in conflitti, che si sono dimostrati strumentali e che hanno determinato conseguenze catastrofiche e durature nel tempo.
L’art. 91 della Costituzione recita: “Il Presidente della Repubblica, prima di assumere le sue funzioni, presta giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione dinanzi al Parlamento in seduta comune”. Ciò esclude qualsiasi persona che intenda, o ragionevolmente abbia inteso nel recente passato, cambiare la Costituzione con procedure difformi da quelle previste dall’art. 138 della Costituzione, per esempio attraverso l’elezione di un’assemblea costituente. Ma, dato che proprio l’art. 138 consente, in base a una determinata procedura, l’approvazione di leggi di revisione della Costituzione, cioè dell’eventuale apporto di modifiche o correzioni, è da escludere anche la costituzionalità di cambiamenti che in modo esplicito o implicito si propongano di dar vita da una nuova Costituzione. Da ciò deriva una opportuna riserva democratica verso chiunque avanzi proposte di alchimie costituzionali tese di fatto ad abbandonare la Carta del 1948.
Il Presidente della Repubblica deve rispettare lo spirito e la lettera della Costituzione che è dichiaratamente antifascista. Non mi riferisco solo alla XII Disposizione finale che vieta la ricostituzione del partito fascista sotto qualsiasi forma. Mi riferisco all’intera Carta che disegna una società ed uno Stato in base a criteri specularmente antitetici ai criteri del fascismo, basti pensare ai temi del razzismo, della pace e della guerra, del ruolo della donna, della democrazia e della dittatura, delle libertà, dei partiti, dei sindacati, delle minoranze, delle autonomie, della scuola e formazione. Lo Stato e il governo fascista sono l’esatto contrario dello Stato e del governo costituzionale. Come è scritto in un recente comunicato del Forum delle Associazioni antifasciste e della Resistenza, “la Costituzione italiana è dichiaratamente antifascista”; “per questo motivo il nuovo Presidente della Repubblica dovrà essere scelto tra le personalità che si riconoscono pienamente e senza riserve in tali valori di democrazia, libertà, giustizia sociale, solidarietà, pace”.
In sostanza il Presidente della Repubblica deve essere esempio in un tempo di crisi profonda della politica e di larga disaffezione popolare verso le istituzioni democratiche, dev’essere fedelissimo custode della Costituzione repubblicana al fine che essa non venga disattesa, anzi, che sia finalmente e integralmente applicata, deve rispettare rigorosamente la natura parlamentare della Repubblica contrastando qualsiasi opzione presidenzialista, deve di conseguenza contenere rigorosamente la sua azione nei limiti delle sue responsabilità costituzionali, deve fare delle parole dell’antifascismo il suo vocabolario quotidiano (è appena il caso di ricordare che il primo gesto istituzionale del Presidente Mattarella all’atto del suo insediamento fu l’omaggio ai martiri delle Fosse Ardeatine).
Viviamo un tempo di crisi. Facciamo sì che l’elezione del Presidente della Repubblica sia un visibile e positivo segno di svolta e di rafforzamento della democrazia.
- Gianfranco Pagliarulo, Presidente Nazionale ANPI.
12 gennaio 2022
Operazione "Scarpe rotte" Grazie a tutti...
Si conclude oggi, con la consegna delle ultime scarpe alla Fondazione Arca, l'iniziativa "Scarpe rotte eppur bisogna andar". In questo periodo tanto difficile, assistere ad una così grande manifestazione di solidarietà è stato un vero dono! C'è una profonda differenza tra fare la carità, che mette a posto la nostra coscienza, ed essere solidali, quando ci si interessa profondamente agli altri. In una città in cui si maschera e si nasconde la difficile condizione dei molti lasciati ai margini, considerati più come un deturpamento del paesaggio urbano che come umanità, Noi, Anpi Barona, grazie alle centinaia di donazioni ricevute, abbiamo potuto andare oltre la cortina scintillante degli addobbi natalizi cittadini e portare il nostro aiuto. Grazie a chi ha donato, a chi ci ha fatto segnalazioni mirate, a chi è venuto a ritirare le scarpe. È stata una grande catena solidale in tempi di paura e di distanze. Tutti i soldi ricevuti sono stati spesi per l'acquisto di calzature e generi di conforto distribuiti, e a sostegno di altri importanti progetti di solidarietà. Abbiamo tutti guardato oltre le nostre vite, le nostre routine e problemi, per compiere un gesto che è alla base dell'essere umano: la cura degli altri.
Tiziana Pesce - "Papà Partigiano ride dei novax"
Desidero fare due precisazioni necessarie. La prima riguarda i fatti storici. Durante il comizio Lei ha citato, per ben tre volte, una presunta polemica tra mio padre e il giornalista Concetto Pettinato in relazione agli storici scioperi del marzo 1943. La citazione è errata per due motivi. Il primo è che mio padre nel marzo del 1943 era al confino a Ventotene (insieme, tra gli altri, a Umberto Terracini, Giuseppe Di Vittorio, Eugenio Curiel, Girolamo Li Causi) condannato per la sua partecipazione alla guerra di Spagna e quindi non aveva alcuna possibilità di polemizzare o di intrattenersi con il giornalista seguace di Mussolini. Inoltre lo stesso Pettinato, all’epoca era in Svizzera (ivi trasferito dopo l’espulsione dalla Francia) da dove rientrò in Italia soltanto dopo l’8 settembre 1943 e fu nominato direttore de La Stampa nel novembre dello stesso anno. Quindi, e già soltanto per questi fatti, non potè esserci alcuna polemica in merito agli scioperi del marzo 1943 a Torino e a Milano. E naturalmente nel marzo 1943 non c’era ancora il governo Badoglio.
Probabilmente l’errore sui fatti e sulle date è soltanto un lapsus, seppure reiterato, mentre forse Lei intendeva richiamarsi non agli scioperi del marzo 1943, ma a quelli altrettanto storicamente decisivi, sempre a Milano e a Torino, del marzo 1944. Ma anche su questi fatti non vi fu nessun confronto diretto o indiretto tra mio padre e il Pettinato
La seconda osservazione che, non me ne voglia, mi permetto di fare è che non è accettabile, neppure lontanamente e da nessun punto di vista, alcun paragone tra i protagonisti della lotta di liberazione dal nazifascismo e l’attuale movimento di contestazione alla politica italiana di questi due anni nel contrasto alla pandemia. Certamente molti problemi per la democrazia del giorno d’oggi la crisi pandemica ha messo in luce e molti altri il futuro ne riserverà. Ma è storicamente, politicamente, culturalmente, e per quanto riguarda la memoria di mio padre, personalmente offensivo sentire paragonare la sua vita, la sua politica e la sua lotta per la libertà alle prospettive conclamate (nuovi CLN!! suvvia un po' di verecondia!) di un movimento scomposto, confuso e facilmente strumentalizzabile, che se non fosse per la gravità delle affermazioni storiche, tanto più gravi se profferite da uomini per professione colti, potrebbe essere relegato a tristissimo folclore.
La libertà di parola è di tutti, ma invitando Lei, che ne possiede il significato, ad usarla in modo rispettoso della storia delle persone, spero che non vorrà più associare il nome di mio padre alle idee del movimento da Lei guidato.
Soltanto per chiudere in serenità. Le assicuro. Mio padre a sentire tali paragoni, dopo una iniziale arrabbiatura vi avrebbe seppelliti sotto una risata. Probabilmente mentre andava a vaccinarsi. Mi creda.”
- Tiziana Pesce.
Commenti
10 gennaio 2022
Sfregio della storia. (novax)
Tutta ANPI Barona Milano è vicina a Tiziana Pesce e i suoi cari. Il “professore” in questione non conosce la Storia è evidente ed sul suo pensiero novax stendiamo un velo pietoso. Condividiamo appieno il Comunicato di ANPI Provinciale Torino e della FIAP Nazionale. -
“Comunicato stampa FEDERAZIONE ITALIANA ASSOCIAZIONI PARTIGIANE DEL PIEMONTE
Il prof. Ugo Mattei, con la Commissione “Dubbio e precauzione”,ha lanciato con altri un appuntamento sabato 8 gennaio a Torino contro le misure nazionali anticovid e merita rammentare che tali manifestazioni più volte sono state inquinate da presenze e organizzazioni fasciste.
Mentre si muore, ci si ammala e il personale sanitario è di nuovo sotto pressione per l’aumento dei ricoveri, gli organizzatori della manifestazione peraltro semi deserta , pretendono di costituire quello che provocatoriamemte chiamano CLN, come quello dei partigiani (sic!).
Dimenticando e offendendo ancora una volta la storia del movimento partigiano , e del Comitato di Liberazione Nazionale, formatosi nel 1943, che vedeva al suo interno personalita' come Alcide De Gasperi, Giorgio Amendola, Ugo La Malfa, Pietro Nenni, Ferruccio Parri , Sandro Pertini e altri ancora che, temprati dalla lunga opposizione al fascismo attraverso il carcere, il confino o l’esilio, potevano parlare a nome delle partigiane e dei partigiani combattenti una durissima guerra contro fascisti e nazisti.
Il Comitato di Liberazione Nazionale è una storia di grandezze e eroismi, di scelte coraggiose da cui è nata l’Italia democratica, ponendo fine alla ventennale dittatura fascista e attraversando una sciagurata guerra voluta dal regime mussoliniano .
Per tali ragioni, non dimenticando anche lo scellerato parallelo affermato da persone aderenti a questi movimenti irresponsabili no vax tra la condizione di chi irragionevolmente rifiuta il vaccino , esponendo se stesso.e gli altri al propagarsi del.contagio e di eventi letali e intasando le strutture sanitarie sotto stress e gli internati nei lager nazisti, è intollerabile e inaccettabile l’utilizzo indecente che si ritiene di poter fare di una storia così importante per il nostro Paese quale fu la Resistenza, secondo Risorgimento del Paese . Così si offendono le vittime degli orrori e delle stragi fasciste e naziste, a pochi giorni dal giorno della Memoria, e si insultano i tanti combattenti partigiani, donne e uomini che andavano incontro al sacrificio della stessa vita per donare libertà e democrazia alla patria ritrovata dopo la funesta dittatura e la guerra. Con un moto di solidarietà fraterna pagato con il sangue e il sacrificio.
Troppi sono gli episodi che con volgarità si sono richiamati alla storia dolorosa del nazismo e della dittatura nelle piazze no vax.
Torino, “medaglia d’oro al valor militare”, non può tollerare sceneggiate offensive della sua storia. La FIAP invita i cittadini tutti e i Torinesi nella cui citta' il prof.Mattei ha lanciato le sue incaute e amtistoriche declamazioni a prendere le distanze e respingere gli agitatori di piazza impudenti .
Per la Presidenza FIAP PIEMONTE ANTONIO CAPUTO,VICE Presidente NAZIONALE.