Giorno della Memoria 2022
Luis Sepulveda scriveva: “In un angolo del campo di concentramento, a un passo da dove si innalzavano gli infami forni crematori, nella ruvida superficie di una pietra, qualcuno, chi?, aveva inciso con l’aiuto di un coltello forse, o di un chiodo, la più drammatica delle proteste: “Io sono stato qui e nessuno racconterà la mia storia”. (da “Le rose di Atacama”)
Purtroppo sono migliaia i nomi che si sono dissolti nei campi di concentramento insieme ai volti, alle voci, alle storie di quelle vite annientate, a volte con un preciso sadico metodo che riusciva a calcolare quasi precisamente in quanto tempo il deportato, sottoposto al lavoro massacrante e lasciato quasi a digiuno, avrebbe impiegato per morire; altre volte la morte avveniva per il guizzo del carnefice, il gusto di uccidere perché si poteva uccidere senza condanna, anzi, magari con tanto di elogio.
Si riuscirà mai a dare un nome a tutte le vittime del nazifascismo? Sarà mai possibile riuscire a scoprire anche solo un piccolo brandello delle loro vite?
Noi conosciamo i nomi e qualche dettaglio di otto partigiani della Barona deportati e morti nei campi di concentramento nazisti:
Luigi Bossi, partigiano nelle Brigate Matteotti, morto a Ebensee il 23 aprile 1945 a soli 22 anni; Guido Cimini, partigiano della Brigata Volante “Aldo Oliva” della Divisione Ticino, morto a Dachau il 6 febbraio 1945 a 46 anni; Luigi Corradini, partigiano della 114ª Brigata SAP, morto a Gusen il 18 marzo 1944 a 36 anni; Vittorio Malandra, partigiano nella 128ª Brigata Garibaldi SAP, morto a Mauthausen il 22 aprile 1945 a 51 anni; Vittorio Morneghini, partigiano della 113ª Brigata SAP, morto a Gusen il 18 marzo 1944 a 36 anni; i fratelli Giovanni e Pietro Negri, partigiani della 113ª Brigata Garaibaldi SAP, morti a Mauthausen rispettivamente il 3 maggio 1945 (2 giorni prima della liberazione del campo), a 20 anni, e il 5 ottobre 1944 a 38 anni; Adriano Pogliaghi, partigiano delle squadre d’azione giovanili del PSI e della Brigata Cucciniello, morto a Gusen il 19 aprile 1945 a soli 21 anni.
Non conosciamo il volto di Vittorio Malandra, non abbiamo una sua foto, ma sappiamo che lavorava a Sesto San Giovanni, alla Breda come verniciatore e che partecipò agli scioperi del marzo 1944. Fu prelevato in piena notte dalla sua abitazione, in viale Famagosta 4. Nonostante le privazioni, le sevizie, la fatica, Malandra non si fece piegare e disumanizzare dal lager nazista e prese parte al comitato di liberazione che agiva clandestinamente all’interno di Mauthausen e che progettava una rivolta. La rivolta venne scoperta dai nazisti che tra il 21 e il 25 aprile uccisero 472 internati, tra cui 84 deportati politici italiani, compreso Vittorio.
Giovanni e Pietro Negri furono arrestati a causa di un delatore, lo stesso che fece arrestare anche Vittorio Morneghini e altri 5 giovani partigiani della Barona. Furono tutti torturati a San Vittore. Morneghini non morì di stenti, di malattia, ma fucilato per aver tentato la fuga dal campo di concentramento di Gusen. Non si diede per vinto fino alla fine.
Indomito anche Adriano Pogliaghi. L’unica foto che abbiamo di lui mostra un giovane dal volto serio, lo sguardo fermo, sicuro. E proprio così doveva essere Adriano, nonostante la sua giovanissima età. Negli scioperi del marzo 1944 insieme ad altri tre partigiani (Arrigo Veneri, Angelo Doninotti e Paolo Barbieri) asportò un tratto di binario della rete tramviaria per bloccare il transito dei tram. Arrestati dai militi della “Muti” vennero obbligati a camminare in mezzo alla folla portando in spalla il binario divelto. Poi, Adriano, che aveva l’obbligo di leva, fu arruolato nella marina militare ma scappò e tornò a lottare a Milano. Venne arrestato nuovamente dopo che, in seguito a torture, dei suoi compagni fecero il suo nome.
Tra i partigiani 113ª Brigata Garibaldi Sap della Barona che vogliamo ricordare c’è anche Eugenio Esposito, sopravvissuto a Flossenburg. Eugenio è figlio di Andrea Esposito, uno dei 15 martiri di piazzale Loreto. Vennero arrestati insieme appena usciti dalla loro abitazione, in viale Faenza 3. Anche Eugenio, inizialmente, avrebbe dovuto far parte del gruppo di prigionieri da fucilare quel 15 agosto 1944, ma la sua condanna venne all’ultimo mutata e venne deportato il 16 agosto, inizialmente per Bolzano. Aveva appena 18 anni.
Solo una volta rientrato a Milano, deperito, conservando la sua giacca da deportato, venne a scoprire della tragica fine di suo padre e volle andare subito sul luogo della crudele rappresaglia. Sul posto, tra i fiori e le corone, c’era il drappello dei Vigili Urbani che, saputo chi fosse, si misero sull’attenti.
Questi uomini finirono nei campi di concentramento nazisti per la loro lotta di libertà, per gli alti valori che li spinsero a mettere in gioco le loro vite. Noi gli siamo debitori, non solo il 27 gennaio, ma tutti i giorni. Non solo non dobbiamo dimenticare quanto successo, ma dobbiamo indignarci e lottare ogni volta che accade. Siamo ancora molto lontani dal poter dire che non accadrà mai più se in Europa tornano muri e filo spinato e se i mari sono cimiteri di innocenti.
Stefania Cappelletti - Presidente ANPI Barona Milano.
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