Da oggi su Google Maps la mappa di tutte le lapidi dei partigiani della nostra zona morti durante la Resistenza e la Liberazione dell'Italia dalla dittatura nazifascista.
http://www.google.com/maps/ms?hl=it&ptab=2&ie=UTF8&lr=lang_it&msa=0&msid=104516227293333211969.000444f1233605c250e4c
Associazione Nazionale Partigiani d'Italia - ANPI Barona Milano.
30 gennaio 2008
24 gennaio 2008
Comandante "BULOW"
Boldrini, il nostro generale «Bulow»
In ricordo d' Arrigo Boldrini, protagonista della Liberazione dal nazifascismo che riassumeva in sé il mondo resistenziale. Era il capo laico di quell'«altra Repubblica», quella dei partigiani, con un forte ruolo di istituzionalità ufficiale, così come Giovanni Pesce, morto pochi mesi fa, ne costituiva una specie di alter ego militante ed extra-istituzionale
Angelo d'Orsi - Il Manifesto 23/01/08
Lo incontrai una volta, Arrigo Boldrini, a un raduno della Federazione Internazionale dei Resistenti alla guerra. Era un uomo importante, in quel contesto; e fece una grande impressione, a me, che ero un ragazzo aspirante «giornalista-militante». Scambiammo qualche parola. Ero troppo giovane e inesperto di tutto per essere a mio agio, ma lui fu cordiale, pur in un'attitudine, che a me, pareva severa: era già un monumento vivente. Il suo nome, all'epoca, risuonava, tra aule parlamentari, agenzie di stampa, e, naturalmente, di tanto in tanto, sull'Unità, l'organo di quello che fu sempre il suo partito. Partecipava a tutte le cerimonie pubbliche: tutte quelle che meritavano. Era, in buona sostanza, una sorta di Presidente della Repubblica ombra: quella Repubblica dei Partigiani, dei Resistenti e degli Antifascisti che non ha mai goduto buona stampa, nella Repubblica istituzionale, che pure nacque soprattutto grazie a loro: prima delle volgarità e delle bestialità mercantili dei Pansa di turno, che ripropongono diuturnamente, rivedute e corrette, le infamie dei «nostalgici» alla Pisanò, c'erano state le persecuzioni giudiziarie ai partigiani, l'emarginazione sociale di chi pareva aver fatto parte o sostenuto i banditen, e, dunque, nel maccartismo all'italiana, varie forme persecutorie verso tutti coloro che militavano o simpatizzavano con i «socialcomunisti», come allora si diceva. Un mondo nella sua biografiaUn uomo come Boldrini rappresentava il capo laico di quell'altra Repubblica, con un forte ruolo di istituzionalità ufficiale; così come Giovanni Pesce, morto solo alcuni mesi prima di lui (che abbiamo commemorato su queste stesse colonne), ne costituiva una specie di alter ego militante ed extra-istituzionale. Erano la faccia politica, l'uno; militare, l'altro, della Resistenza. Il partigiano-politico Boldrini, che sapeva riassumere in sé, nella sua biografia e nelle sue doti personali, l'intero mondo resistenziale; e il guerrigliero romantico Pesce, che fu sino alla fine un giapponese pronto a continuare la battaglia nella giungla, fedele agli ideali sui quali, peraltro, anche Bulow, il comandante Boldrini, era rimasto fermo. Ma erano personalità diverse, che nella storia della lotta e in quella del dopoguerra avevano assunto fisionomie pubbliche e ruoli diversi. Accomunati, allora dagli ideali antifascisti, e comunisti; ora, a fine luglio scorso Pesce, in questa fine gennaio Boldrini, dalle loro uscite di scena, senza clamori. Chi può dare soverchio spazio a Boldrini (al di là delle frasi di circostanza, che stanno inondando le agenzie), davanti alle ultime news su Mastella e Cuffaro? Eppure, Arrigo Boldrini, classe Grande guerra (era nato a Ravenna il 6 settembre 1915) è stato un autentico padre della patria. Nemmeno per lui, come già per Giovanni Pesce, si trovò un capo dello Stato disposto a riconoscergli con il laticlavio, quei meriti speciali che danno diritto ad entrare tra i senatori a vita: ma abbiamo avuto, in compenso, Andreotti, Colombo, Cossiga, e, per onorare la famosa «società civile», l'industriale Pininfarina. Ma lui quei meriti li aveva. E, quasi a confermare quello che potrebbe sembrare un cliché - in realtà, a onorare una professione di vita che non ha bisogno di tamburi né trombe (e men che meno, tromboni) -, il comandante Bulow, fu uomo che unì al massimo della presenza, il minimo del presenzialismo. Passò alla storia come liberatore di Ravenna, la sua città - dove ieri è morto, in ospedale, dopo alcuni giorni di ricovero - era un figlio autentico della «generosa terra di Romagna». Di tradizione socialista, e internazionalista, fu un ribelle fin dalle prime esperienze scolastiche: espulso dal collegio della Scuola Agraria di Cesena, avendo poi acciuffato il diploma di perito agrario, fece regolarmente il servizio militare, come allievo ufficiale. E si trovò un modesto impiego nello zuccherificio Eridania, e poi a Napoli, in un centro per la lavorazione dei cereali. A Napoli, il che può apparire bizzarro per un romagnolo di tradizione rossa, entrato in rapporti di amicizia con Libero Bovio, semidimenticato poeta dialettale di grande valore, fu posto finalmente a contatto con ambienti antifascisti. Ma i tempi della lotta dovettero aspettare. Fu il richiamo alle armi (ne aveva avuto già uno, in precedenza), destinazione Jugoslavia e Albania, la sua guerra: una delle guerre più sporche degli italiani, che spiega in larga parte la questione foibe. Mentre era ospedalizzato, a Bari, convalescente, fu raggiunto dalla notizia della fatal notte del 25 Luglio '43: Mussolini arrestato per volere del Re (suo «cugino», che l'aveva onorato del «collare dell'Annunziata», massima onorificenza sabauda!), le sue statue che cominciavano ad essere abbattute, i fascisti volatilizzati, la Milizia per la Sicurezza dello Stato come se non fosse mai esistita... E, mentre il re cincischiava, e Badoglio assumeva la carica che era stata per vent'anni di Benito Mussolini, l'esercito cominciava a sbandare, paurosamente, pericolosamente. Come avrebbe di lì a poco dimostrato, in modo clamoroso quanto drammatico, l'8 Settembre. Da quel contadino che era, Arrigo tornò subito alle sue terre: iscritto, fin dall'agosto, al Pci, fu tra i primissimi a organizzare un gruppo di combattenti; scelto da uno che di guerra se ne intendeva, Luigi Longo, Boldrini seppe imporsi, in modo del tutto naturale, come un vero capo, nel senso gramsciano. Nasceva il comandante Bulow. La leggenda, che ha fatto scuola, vuole che il nome gli sia stato dato da un barbiere appassionato di storia, tale Michele Pascoli, che davanti a una lezione di tattica e strategia di Boldrini, lo avrebbe scherzosamente apostrofato con un «Ma chi sei, Bulow?», riferendosi al vincitore di Napoleone a Waterloo, il generale von Bulow. E lo stesso Pascoli (poi fucilato dai nazifascisti), avrebbe poi per così dire imposto quel nome di battaglia al compagno. Che se lo meritò tutto.Quel rischio calcolatoNon si contano gli episodi di eroismo, ma non all'insegna della temerarietà, piuttosto del rischio calcolato, che ne facevano davvero un generale di corpo d'armata. Quell'armata di straccioni che liberò, pezzo dopo pezzo, l'Italia, senza aspettare, inerte, la liberazione da recalcitranti e sospettosi «Alleati», ma, quando possibile, collaborando con loro. Scrisse Gian Carlo Pajetta, di Boldrini, che non era il soldato che «ha compiuto un giorno un atto disperato, supremo di valore»; non l'ufficiale che «ha avuto una idea geniale in una battaglia decisiva». Era, Bulow, uno stratega e una guida di uomini: il «compagno che ha fatto giorno per giorno il suo lavoro, il suo dovere». Era davvero il partigiano idealtipico, destinato a radunare sbandati, a trasformarli in combattenti consapevoli, e a condurli non allo sbaraglio, ma nella piena coscienza del rischio, alla guerra di liberazione. Il gruppo di uomini che ebbe intorno fu eccezionale, e molti persero la vita, a cominciare da Mario Gordini, a cui poi fu intitolata la Brigata di Bulow. Eroi, di cui anche nelle cerimonie del 25 aprile in questo Paese di smemorati avveduti e di memorialisti opportunisti, si è persa pressoché ogni traccia. «In» Roma e poi costituenteNon a caso toccò a lui, il comandante Bulow, guidare quella che fu la prima grande manifestazione in quella parte del territorio liberato dagli occupanti tedeschi e dai repubblichini. Nella Roma del febbraio '45, Bulow (che aveva ricevuto la medaglia d'oro dal comandante dell'VIII Armata, generale britannico McCreery, a Ravenna, pochi giorni prima), guidò uno straripante corteo che passò sotto il fatale balcone di Palazzo Venezia. Sfrattato il suo inquilino - che, a Salò, si fingeva pateticamente ancora come «il duce» degli italiani - quella marcia «in» Roma, volle cancellare la marcia «su» Roma di ventitre anni prima. Finita la guerra, Bulow ne rappresentò, come meglio non si sarebbe potuto, gli ideali e la continuità nella linea dell'antifascismo e per l'affermazione e la difesa della nuova legalità repubblicana, poi, dal 1948, certificata da una Costituzione alla cui stesura, come membro dell'Assemblea Costituente, egli prese parte. Così, mentre guidava degnamente l'Anpi (da presidente prima, e presidente onorario, prima di ritirarsi, negli ultimissimi anni, in un centro di ricovero, sempre nella sua terra), difese i valori, da deputato e da senatore, di quella Carta, che ancora oggi, mentre la celebriamo sui manifesti affissi per il 60°, è un documento ignoto ai più, e, quel che è peggio, «vecchio», e da mandare al macero, per molti esponenti del ceto politico. I quali fingono di non ricordare quel che tutti loro, e noi, a quel vecchio documento, nato dall'azione - culturale, politica e militare - di «vecchi» come Arrigo Boldrini, dobbiamo.
In ricordo d' Arrigo Boldrini, protagonista della Liberazione dal nazifascismo che riassumeva in sé il mondo resistenziale. Era il capo laico di quell'«altra Repubblica», quella dei partigiani, con un forte ruolo di istituzionalità ufficiale, così come Giovanni Pesce, morto pochi mesi fa, ne costituiva una specie di alter ego militante ed extra-istituzionale
Angelo d'Orsi - Il Manifesto 23/01/08
Lo incontrai una volta, Arrigo Boldrini, a un raduno della Federazione Internazionale dei Resistenti alla guerra. Era un uomo importante, in quel contesto; e fece una grande impressione, a me, che ero un ragazzo aspirante «giornalista-militante». Scambiammo qualche parola. Ero troppo giovane e inesperto di tutto per essere a mio agio, ma lui fu cordiale, pur in un'attitudine, che a me, pareva severa: era già un monumento vivente. Il suo nome, all'epoca, risuonava, tra aule parlamentari, agenzie di stampa, e, naturalmente, di tanto in tanto, sull'Unità, l'organo di quello che fu sempre il suo partito. Partecipava a tutte le cerimonie pubbliche: tutte quelle che meritavano. Era, in buona sostanza, una sorta di Presidente della Repubblica ombra: quella Repubblica dei Partigiani, dei Resistenti e degli Antifascisti che non ha mai goduto buona stampa, nella Repubblica istituzionale, che pure nacque soprattutto grazie a loro: prima delle volgarità e delle bestialità mercantili dei Pansa di turno, che ripropongono diuturnamente, rivedute e corrette, le infamie dei «nostalgici» alla Pisanò, c'erano state le persecuzioni giudiziarie ai partigiani, l'emarginazione sociale di chi pareva aver fatto parte o sostenuto i banditen, e, dunque, nel maccartismo all'italiana, varie forme persecutorie verso tutti coloro che militavano o simpatizzavano con i «socialcomunisti», come allora si diceva. Un mondo nella sua biografiaUn uomo come Boldrini rappresentava il capo laico di quell'altra Repubblica, con un forte ruolo di istituzionalità ufficiale; così come Giovanni Pesce, morto solo alcuni mesi prima di lui (che abbiamo commemorato su queste stesse colonne), ne costituiva una specie di alter ego militante ed extra-istituzionale. Erano la faccia politica, l'uno; militare, l'altro, della Resistenza. Il partigiano-politico Boldrini, che sapeva riassumere in sé, nella sua biografia e nelle sue doti personali, l'intero mondo resistenziale; e il guerrigliero romantico Pesce, che fu sino alla fine un giapponese pronto a continuare la battaglia nella giungla, fedele agli ideali sui quali, peraltro, anche Bulow, il comandante Boldrini, era rimasto fermo. Ma erano personalità diverse, che nella storia della lotta e in quella del dopoguerra avevano assunto fisionomie pubbliche e ruoli diversi. Accomunati, allora dagli ideali antifascisti, e comunisti; ora, a fine luglio scorso Pesce, in questa fine gennaio Boldrini, dalle loro uscite di scena, senza clamori. Chi può dare soverchio spazio a Boldrini (al di là delle frasi di circostanza, che stanno inondando le agenzie), davanti alle ultime news su Mastella e Cuffaro? Eppure, Arrigo Boldrini, classe Grande guerra (era nato a Ravenna il 6 settembre 1915) è stato un autentico padre della patria. Nemmeno per lui, come già per Giovanni Pesce, si trovò un capo dello Stato disposto a riconoscergli con il laticlavio, quei meriti speciali che danno diritto ad entrare tra i senatori a vita: ma abbiamo avuto, in compenso, Andreotti, Colombo, Cossiga, e, per onorare la famosa «società civile», l'industriale Pininfarina. Ma lui quei meriti li aveva. E, quasi a confermare quello che potrebbe sembrare un cliché - in realtà, a onorare una professione di vita che non ha bisogno di tamburi né trombe (e men che meno, tromboni) -, il comandante Bulow, fu uomo che unì al massimo della presenza, il minimo del presenzialismo. Passò alla storia come liberatore di Ravenna, la sua città - dove ieri è morto, in ospedale, dopo alcuni giorni di ricovero - era un figlio autentico della «generosa terra di Romagna». Di tradizione socialista, e internazionalista, fu un ribelle fin dalle prime esperienze scolastiche: espulso dal collegio della Scuola Agraria di Cesena, avendo poi acciuffato il diploma di perito agrario, fece regolarmente il servizio militare, come allievo ufficiale. E si trovò un modesto impiego nello zuccherificio Eridania, e poi a Napoli, in un centro per la lavorazione dei cereali. A Napoli, il che può apparire bizzarro per un romagnolo di tradizione rossa, entrato in rapporti di amicizia con Libero Bovio, semidimenticato poeta dialettale di grande valore, fu posto finalmente a contatto con ambienti antifascisti. Ma i tempi della lotta dovettero aspettare. Fu il richiamo alle armi (ne aveva avuto già uno, in precedenza), destinazione Jugoslavia e Albania, la sua guerra: una delle guerre più sporche degli italiani, che spiega in larga parte la questione foibe. Mentre era ospedalizzato, a Bari, convalescente, fu raggiunto dalla notizia della fatal notte del 25 Luglio '43: Mussolini arrestato per volere del Re (suo «cugino», che l'aveva onorato del «collare dell'Annunziata», massima onorificenza sabauda!), le sue statue che cominciavano ad essere abbattute, i fascisti volatilizzati, la Milizia per la Sicurezza dello Stato come se non fosse mai esistita... E, mentre il re cincischiava, e Badoglio assumeva la carica che era stata per vent'anni di Benito Mussolini, l'esercito cominciava a sbandare, paurosamente, pericolosamente. Come avrebbe di lì a poco dimostrato, in modo clamoroso quanto drammatico, l'8 Settembre. Da quel contadino che era, Arrigo tornò subito alle sue terre: iscritto, fin dall'agosto, al Pci, fu tra i primissimi a organizzare un gruppo di combattenti; scelto da uno che di guerra se ne intendeva, Luigi Longo, Boldrini seppe imporsi, in modo del tutto naturale, come un vero capo, nel senso gramsciano. Nasceva il comandante Bulow. La leggenda, che ha fatto scuola, vuole che il nome gli sia stato dato da un barbiere appassionato di storia, tale Michele Pascoli, che davanti a una lezione di tattica e strategia di Boldrini, lo avrebbe scherzosamente apostrofato con un «Ma chi sei, Bulow?», riferendosi al vincitore di Napoleone a Waterloo, il generale von Bulow. E lo stesso Pascoli (poi fucilato dai nazifascisti), avrebbe poi per così dire imposto quel nome di battaglia al compagno. Che se lo meritò tutto.Quel rischio calcolatoNon si contano gli episodi di eroismo, ma non all'insegna della temerarietà, piuttosto del rischio calcolato, che ne facevano davvero un generale di corpo d'armata. Quell'armata di straccioni che liberò, pezzo dopo pezzo, l'Italia, senza aspettare, inerte, la liberazione da recalcitranti e sospettosi «Alleati», ma, quando possibile, collaborando con loro. Scrisse Gian Carlo Pajetta, di Boldrini, che non era il soldato che «ha compiuto un giorno un atto disperato, supremo di valore»; non l'ufficiale che «ha avuto una idea geniale in una battaglia decisiva». Era, Bulow, uno stratega e una guida di uomini: il «compagno che ha fatto giorno per giorno il suo lavoro, il suo dovere». Era davvero il partigiano idealtipico, destinato a radunare sbandati, a trasformarli in combattenti consapevoli, e a condurli non allo sbaraglio, ma nella piena coscienza del rischio, alla guerra di liberazione. Il gruppo di uomini che ebbe intorno fu eccezionale, e molti persero la vita, a cominciare da Mario Gordini, a cui poi fu intitolata la Brigata di Bulow. Eroi, di cui anche nelle cerimonie del 25 aprile in questo Paese di smemorati avveduti e di memorialisti opportunisti, si è persa pressoché ogni traccia. «In» Roma e poi costituenteNon a caso toccò a lui, il comandante Bulow, guidare quella che fu la prima grande manifestazione in quella parte del territorio liberato dagli occupanti tedeschi e dai repubblichini. Nella Roma del febbraio '45, Bulow (che aveva ricevuto la medaglia d'oro dal comandante dell'VIII Armata, generale britannico McCreery, a Ravenna, pochi giorni prima), guidò uno straripante corteo che passò sotto il fatale balcone di Palazzo Venezia. Sfrattato il suo inquilino - che, a Salò, si fingeva pateticamente ancora come «il duce» degli italiani - quella marcia «in» Roma, volle cancellare la marcia «su» Roma di ventitre anni prima. Finita la guerra, Bulow ne rappresentò, come meglio non si sarebbe potuto, gli ideali e la continuità nella linea dell'antifascismo e per l'affermazione e la difesa della nuova legalità repubblicana, poi, dal 1948, certificata da una Costituzione alla cui stesura, come membro dell'Assemblea Costituente, egli prese parte. Così, mentre guidava degnamente l'Anpi (da presidente prima, e presidente onorario, prima di ritirarsi, negli ultimissimi anni, in un centro di ricovero, sempre nella sua terra), difese i valori, da deputato e da senatore, di quella Carta, che ancora oggi, mentre la celebriamo sui manifesti affissi per il 60°, è un documento ignoto ai più, e, quel che è peggio, «vecchio», e da mandare al macero, per molti esponenti del ceto politico. I quali fingono di non ricordare quel che tutti loro, e noi, a quel vecchio documento, nato dall'azione - culturale, politica e militare - di «vecchi» come Arrigo Boldrini, dobbiamo.
Milano. Corteo ufficiale 27 Gennaio
Dal 2001, il 27 gennaio é il giorno dedicato al ricordo dei delitti del nazifascismo, dello sterminio del popolo ebraico, delle stragi di popolazioni civili, Rom, disabili, omosessuali e della deportazione nei campi dì prigionia e annientamento di partigiani, militari, lavoratori e lavoratrici italiane e religiosi di vari culti.
Le Associazioni della Resistenza, dei deportati, i Comitati Antifascisti, le Comunità Ebraiche, i figli della Shoah e tutte le istituzioni democratiche, le organizzazioni sindacali, rivolgono in particolar modo alle giovani generazioni, l’invito a partecipare con chiara coscienza alle iniziative promosse per non dimenticare quei tragici fatti; cosa quanto mai necessaria nella attuale fase storica, in cui i conflitti armati insanguinano ancora molte parti del mondo e la violenza indifferenziata sembra diventare sempre pigi pratica quotidiana.
Le forze democratiche antifasciste chiamano ancora una volta a raccolta i cittadini italiani per manifestare il loro alto senso di civiltà contro l’odio sociale, religioso, politico e razziale contro il terrorismo e la violenza, contro tutte le guerre.
Intendiamo riaffermare la nostra voglia di Pace e diffondere un preciso messaggio per la concordia universale. È fondamentale per ogni uomo e per qualsiasi comunità promuovere e difendere l’armonia sociale al fine di rendere impossibile, dopo quei terrificanti anni dì distruzione, tragedie e disperazione, la rinascita in Europa e nel mondo, dei fatti di allora.
Occorre infondere, sempre e continuamente, fiducia e speranza ai nostri figli e alle nuove generazioni. Ci deve guidare, nel presente come nel futuro, la costante ricerca della Pace e del dialogo tra i popoli.
Milano. 27 Gennaio ore 14.15 Piazza S, Babila partenza del corteo
ore 15.00 Piazza Duomo interventi ufficiali
Le Associazioni della Resistenza, dei deportati, i Comitati Antifascisti, le Comunità Ebraiche, i figli della Shoah e tutte le istituzioni democratiche, le organizzazioni sindacali, rivolgono in particolar modo alle giovani generazioni, l’invito a partecipare con chiara coscienza alle iniziative promosse per non dimenticare quei tragici fatti; cosa quanto mai necessaria nella attuale fase storica, in cui i conflitti armati insanguinano ancora molte parti del mondo e la violenza indifferenziata sembra diventare sempre pigi pratica quotidiana.
Le forze democratiche antifasciste chiamano ancora una volta a raccolta i cittadini italiani per manifestare il loro alto senso di civiltà contro l’odio sociale, religioso, politico e razziale contro il terrorismo e la violenza, contro tutte le guerre.
Intendiamo riaffermare la nostra voglia di Pace e diffondere un preciso messaggio per la concordia universale. È fondamentale per ogni uomo e per qualsiasi comunità promuovere e difendere l’armonia sociale al fine di rendere impossibile, dopo quei terrificanti anni dì distruzione, tragedie e disperazione, la rinascita in Europa e nel mondo, dei fatti di allora.
Occorre infondere, sempre e continuamente, fiducia e speranza ai nostri figli e alle nuove generazioni. Ci deve guidare, nel presente come nel futuro, la costante ricerca della Pace e del dialogo tra i popoli.
Milano. 27 Gennaio ore 14.15 Piazza S, Babila partenza del corteo
ore 15.00 Piazza Duomo interventi ufficiali
23 gennaio 2008
22 gennaio 2008
Arrigo Boldrini Addio Comandante Bulow
Arrigo Boldrini nato a Ravenna il 6 settembre 1915, morto a Ravenna il 22 gennaio 2008 Medaglia d’Oro al Valor militare, Presidente onorario dell'ANPI.
Le operazioni belliche erano ancora in corso quando, il 4 febbraio 1945, il generale Mac Creery, comandante dell’VIII Armata, appuntò sul petto del "comandante Bulow" (questo il nome di battaglia di Boldrini) la Medaglia d’Oro al Valor militare. La cerimonia si svolse sulla piazza di Ravenna liberata proprio dalle formazioni di Bulow, che da quel momento si sarebbero aggregate alle armate anglo-americane sino alla resa totale dei nazifascisti. Impossibile dire di Boldrini in poche righe, a cominciare dall’educazione all’amore per la libertà ricevuta dal padre, una popolare figura di internazionalista romagnolo, sino alle sue gesta nella Resistenza e sino all’attività politica e parlamentare nel dopoguerra, deputato per diverse legislature e presidente nazionale dell’ANPI dalla sua fondazione, ha scritto a suo tempo Gian Carlo Pajetta: "È un eroe. Non è il soldato che ha compiuto un giorno un atto disperato, supremo, di valore. Non è un ufficiale che ha avuto un’idea geniale in una battaglia decisiva. È il compagno che ha fatto giorno per giorno il suo lavoro, il suo dovere; il partigiano che ha messo insieme il distaccamento, ne ha fatto una brigata, ha trovato le armi, ha raccolto gli uomini, li ha condotti, li conduce al fuoco".
Le operazioni belliche erano ancora in corso quando, il 4 febbraio 1945, il generale Mac Creery, comandante dell’VIII Armata, appuntò sul petto del "comandante Bulow" (questo il nome di battaglia di Boldrini) la Medaglia d’Oro al Valor militare. La cerimonia si svolse sulla piazza di Ravenna liberata proprio dalle formazioni di Bulow, che da quel momento si sarebbero aggregate alle armate anglo-americane sino alla resa totale dei nazifascisti. Impossibile dire di Boldrini in poche righe, a cominciare dall’educazione all’amore per la libertà ricevuta dal padre, una popolare figura di internazionalista romagnolo, sino alle sue gesta nella Resistenza e sino all’attività politica e parlamentare nel dopoguerra, deputato per diverse legislature e presidente nazionale dell’ANPI dalla sua fondazione, ha scritto a suo tempo Gian Carlo Pajetta: "È un eroe. Non è il soldato che ha compiuto un giorno un atto disperato, supremo, di valore. Non è un ufficiale che ha avuto un’idea geniale in una battaglia decisiva. È il compagno che ha fatto giorno per giorno il suo lavoro, il suo dovere; il partigiano che ha messo insieme il distaccamento, ne ha fatto una brigata, ha trovato le armi, ha raccolto gli uomini, li ha condotti, li conduce al fuoco".
21 gennaio 2008
20 gennaio 2008
Manifesto 60° della Costituzione
Confederazione Italiana fra le Associazioni Combattentistiche e Partigiane
MANIFESTO PER IL
60° DELLA COSTITUZIONE
La CONFEDERAZIONE Italiana fra le Associazioni Combattentistiche e Partigiane, che riunisce le Associazioni dei Combattenti, dei Decorati al Valor Militare, dei Mutilati ed Invalidi di guerra, dei Partigiani, degli Orfani e delle Famiglie dei Caduti, dei Reduci dalla prigionia, degli Internati e dei Deportati nei campi di concentramento e di sterminio, ha tra le proprie finalità quella di tramandare, in modo unitario, alle giovani generazioni i valori e gli ideali democratici e di pace per la difesa ed il pieno rispetto alla Costituzione repubblicana.
La Confederazione rivolge
un saluto deferente al Capo dello Stato, garante della Costituzione e delle Istituzioni democratiche nel 60° anniversario della promulgazione della Costituzione, una tra le più avanzate del mondo civile, che ha consentito la radicale trasformazione dell’Italia in questi sessanta anni.
La Confederazione ricorda
con riconoscenza i Padri costituenti che con chiarezza e lungimiranza, rifuggendo da ogni tentazione retorica, seppero fissare con grande fermezza posizioni ed obiettivi precisi, fortemente avanzati sul piano democratico, del riconoscimento dei diritti civili, della trasformazione economica e sociale dell’Italia, creando le condizioni per un suo costante sviluppo e progresso. Presupposti che hanno creato le basi ideali e programmatiche necessarie per tali profonde innovazioni, per l’impegno democratico, patriottico e civile del popolo italiano. Popolo che seppe reagire e combattere, in una lotta eroica, tesa a cacciare l’invasore nazista dal suolo patrio e per definitivamente abbattere ogni forma di regime dittatoriale fascista, lottando con volontà tenace, con la consapevolezza di condurre una battaglia difficile, per vedere realizzata una Italia rinnovata e democratica.
La Confederazione sente
in questo sessantesimo anniversario della promulgazione della Costituzione, l’esigenza di rendere un commosso omaggio ai partigiani, ai soldati del rinnovato esercito, agli eroici combattenti di Cefalonia, ai 600.000 soldati italiani costretti nei campi di concentramento tedeschi a causa della loro fedeltà alla Patria, ai deportati nei campi di sterminio, a tutti gli italiani che si sono opposti al nazifascismo aiutando, con ogni mezzo possibile i combattenti della Libertà. Una epopea storica che si chiama Resistenza, Guerra di Liberazione, Costituzione Repubblicana.
La Confederazione rifugge
da nostalgie reducistiche dando così il suo contributo all’interno della società nazionale e riconferma – celebrando il 60° della nostra Carta Costituzionale – il suo impegno unitario per contribuire al progresso civile e democratico del Paese, ricordando insieme alle Istituzioni locali e nazionali un avvenimento fondamentale della storia dell’Italia democratica.
Roma, gennaio 2008
MANIFESTO PER IL
60° DELLA COSTITUZIONE
La CONFEDERAZIONE Italiana fra le Associazioni Combattentistiche e Partigiane, che riunisce le Associazioni dei Combattenti, dei Decorati al Valor Militare, dei Mutilati ed Invalidi di guerra, dei Partigiani, degli Orfani e delle Famiglie dei Caduti, dei Reduci dalla prigionia, degli Internati e dei Deportati nei campi di concentramento e di sterminio, ha tra le proprie finalità quella di tramandare, in modo unitario, alle giovani generazioni i valori e gli ideali democratici e di pace per la difesa ed il pieno rispetto alla Costituzione repubblicana.
La Confederazione rivolge
un saluto deferente al Capo dello Stato, garante della Costituzione e delle Istituzioni democratiche nel 60° anniversario della promulgazione della Costituzione, una tra le più avanzate del mondo civile, che ha consentito la radicale trasformazione dell’Italia in questi sessanta anni.
La Confederazione ricorda
con riconoscenza i Padri costituenti che con chiarezza e lungimiranza, rifuggendo da ogni tentazione retorica, seppero fissare con grande fermezza posizioni ed obiettivi precisi, fortemente avanzati sul piano democratico, del riconoscimento dei diritti civili, della trasformazione economica e sociale dell’Italia, creando le condizioni per un suo costante sviluppo e progresso. Presupposti che hanno creato le basi ideali e programmatiche necessarie per tali profonde innovazioni, per l’impegno democratico, patriottico e civile del popolo italiano. Popolo che seppe reagire e combattere, in una lotta eroica, tesa a cacciare l’invasore nazista dal suolo patrio e per definitivamente abbattere ogni forma di regime dittatoriale fascista, lottando con volontà tenace, con la consapevolezza di condurre una battaglia difficile, per vedere realizzata una Italia rinnovata e democratica.
La Confederazione sente
in questo sessantesimo anniversario della promulgazione della Costituzione, l’esigenza di rendere un commosso omaggio ai partigiani, ai soldati del rinnovato esercito, agli eroici combattenti di Cefalonia, ai 600.000 soldati italiani costretti nei campi di concentramento tedeschi a causa della loro fedeltà alla Patria, ai deportati nei campi di sterminio, a tutti gli italiani che si sono opposti al nazifascismo aiutando, con ogni mezzo possibile i combattenti della Libertà. Una epopea storica che si chiama Resistenza, Guerra di Liberazione, Costituzione Repubblicana.
La Confederazione rifugge
da nostalgie reducistiche dando così il suo contributo all’interno della società nazionale e riconferma – celebrando il 60° della nostra Carta Costituzionale – il suo impegno unitario per contribuire al progresso civile e democratico del Paese, ricordando insieme alle Istituzioni locali e nazionali un avvenimento fondamentale della storia dell’Italia democratica.
Roma, gennaio 2008
A.N.E.D.
Giorno della Memoria 2008. Il Comune di Milano avvia le celebrazioni
sfrattando dalla sede di via Bagutta i superstiti dei Lager
Appello dell’ANED per una manifestazione di solidarietà il 3 febbraio
Milano, 16 gennaio 2008 – Il Comune di Milano ha dato avvio alle celebrazioni del Giorno della Memoria 2008 facendo recapitare da una funzionaria del settore Demanio e Patrimonio lo sfratto all’ANED, l’associazione degli ex deportati. L’ANED dovrà lasciare l’appartamento di via Bagutta 12 libero "da persone, cose e terzi" entro il 30 giugno 2009, e ha pertanto un anno e mezzo per cercarsi un’altra sede, per la quale per il momento l’Amministrazione comunale non assume alcun impegno.
"Un modo di agire disorientante, hanno scritto al Sindaco Letizia Moratti Gianfranco Maris e Dario Venegoni, presidenti rispettivamente dell’ANED nazionale e della sezione di Milano, "tanto più se ricordiamo quanto Lei ha fatto per rivendicare giustamente a Suo padre – che fu per qualche anno iscritto alla sezione di Milano della nostra Associazione – il ruolo di deportato politico".
A questa iniziativa, ha detto Gianfranco Maris in una conferenza stampa nella sede di via Bagutta, intendiamo reagire aprendo un confronto pubblico, alla luce del sole. Vogliamo ricordare al Sindaco Letizia Moratti che il gonfalone di Milano è decorato di Medaglia d’Oro al Valor Militare proprio per il contributo di dolore e di sangue di tanti caduti partigiani e dei deportati nei campi nazisti. E che senza questo contributo lei stessa non sarebbe lì dove è oggi, perché a Palazzo Marino ci sarebbe un Podestà. Non siamo qui a pietire il diritto a continuare a godere di un privilegio. Intendiamo rivendicare il dovere dell’Amministrazione comunale di sostenere coloro che hanno pagato il prezzo più alto per conquistare all’Italia la democrazia.
La nostra Associazione, ha detto Dario Venegoni, non è assimilabile a certi protagonisti dello scandalo di Affittopoli, di cui tanto si parla. Noi non abbiamo avuto in questi anni un centesimo di finanziamento da parte del Comune, della Provincia e della Regione Lombardia. In compenso abbiamo versato noi nelle casse del Comune circa 10.000 euro solo nel 2007 per l’affitto e le spese della sede. In un anno solo a Milano abbiamo organizzato circa 200 incontri, specie coi giovani, ideato e realizzato una importante mostra, pubblicato due libri, concorso alla realizzazione di filmati e di studi sulle deportazioni. Abbiamo diffuso tra i giovani parole di pace, di comprensione, di integrazione, e abbiamo tenuto viva la memoria dei tantissimi che dai Lager non sono tornati.
Di fronte a questo passo dell’Amministrazione comunale non ci resta che fare appello alla coscienza democratica di questa città e del paese, e di chiedere la solidarietà delle centinaia di migliaia di persone che in questi decenni abbiamo incontrato e delle migliaia che ancora incontreremo, specie nei prossimi giorni. Terremo fermi tutti gli appuntamenti già fissati, con un’unica significativa variazione. La giornata del 3 febbraio al teatro San Fedele, dedicata originariamente al ringraziamento nostro verso i tanti che operano, ciascuno nel proprio settore, per dare un futuro alla memoria delle vittime dei Lager, sarà trasformata in una manifestazione di solidarietà verso gli ex deportati. Facciamo appello ai giovani, alle forze della scuola, della cultura, dell’arte, dello spettacolo, dell’associazionismo, affinché il 3 febbraio si stringano attorno ai superstiti dei Lager e ai familiari dei caduti.
L’ANED è l’organizzazione unitaria che riunisce da sempre tutti "i cittadini italiani che per motivi politici o razziali furono deportati nei Lager nazisti e i familiari di tutti i caduti" (art. 4 dello Statuto).
Organizza ogni anno in tutta Italia conferenze, incontri, visite agli ex Lager nazisti coinvolgendo decine di migliaia di persone, specialmente giovani.
Ha pubblicato in proprio o con altre case editrici decine di libri, film, documentari e mostre. Appartenevano all’ANED sia Primo Levi che Vincenzo Pappalettera, autori di libri di testimonianza universalmente conosciuti.
È dell’ANED il primo sito Internet sull’argomento dei Lager (www.deportati.it) in rete fin dal 1997, ed "erede" della presenza dell’Associazione nella Rete Civica Milanese che data dal 1994, quando ancora il Web era praticamente sconosciuto in Italia.
L’ANED ha ricevuto l’Ambrogino d’Oro del Comune di Milano, così come pure, nel corso degli anni, molti suoi dirigenti: Gianfranco Maris, Nedo Fiano, Onorina Brambilla, Teo Ducci, Ada Buffulini e altri.
sfrattando dalla sede di via Bagutta i superstiti dei Lager
Appello dell’ANED per una manifestazione di solidarietà il 3 febbraio
Milano, 16 gennaio 2008 – Il Comune di Milano ha dato avvio alle celebrazioni del Giorno della Memoria 2008 facendo recapitare da una funzionaria del settore Demanio e Patrimonio lo sfratto all’ANED, l’associazione degli ex deportati. L’ANED dovrà lasciare l’appartamento di via Bagutta 12 libero "da persone, cose e terzi" entro il 30 giugno 2009, e ha pertanto un anno e mezzo per cercarsi un’altra sede, per la quale per il momento l’Amministrazione comunale non assume alcun impegno.
"Un modo di agire disorientante, hanno scritto al Sindaco Letizia Moratti Gianfranco Maris e Dario Venegoni, presidenti rispettivamente dell’ANED nazionale e della sezione di Milano, "tanto più se ricordiamo quanto Lei ha fatto per rivendicare giustamente a Suo padre – che fu per qualche anno iscritto alla sezione di Milano della nostra Associazione – il ruolo di deportato politico".
A questa iniziativa, ha detto Gianfranco Maris in una conferenza stampa nella sede di via Bagutta, intendiamo reagire aprendo un confronto pubblico, alla luce del sole. Vogliamo ricordare al Sindaco Letizia Moratti che il gonfalone di Milano è decorato di Medaglia d’Oro al Valor Militare proprio per il contributo di dolore e di sangue di tanti caduti partigiani e dei deportati nei campi nazisti. E che senza questo contributo lei stessa non sarebbe lì dove è oggi, perché a Palazzo Marino ci sarebbe un Podestà. Non siamo qui a pietire il diritto a continuare a godere di un privilegio. Intendiamo rivendicare il dovere dell’Amministrazione comunale di sostenere coloro che hanno pagato il prezzo più alto per conquistare all’Italia la democrazia.
La nostra Associazione, ha detto Dario Venegoni, non è assimilabile a certi protagonisti dello scandalo di Affittopoli, di cui tanto si parla. Noi non abbiamo avuto in questi anni un centesimo di finanziamento da parte del Comune, della Provincia e della Regione Lombardia. In compenso abbiamo versato noi nelle casse del Comune circa 10.000 euro solo nel 2007 per l’affitto e le spese della sede. In un anno solo a Milano abbiamo organizzato circa 200 incontri, specie coi giovani, ideato e realizzato una importante mostra, pubblicato due libri, concorso alla realizzazione di filmati e di studi sulle deportazioni. Abbiamo diffuso tra i giovani parole di pace, di comprensione, di integrazione, e abbiamo tenuto viva la memoria dei tantissimi che dai Lager non sono tornati.
Di fronte a questo passo dell’Amministrazione comunale non ci resta che fare appello alla coscienza democratica di questa città e del paese, e di chiedere la solidarietà delle centinaia di migliaia di persone che in questi decenni abbiamo incontrato e delle migliaia che ancora incontreremo, specie nei prossimi giorni. Terremo fermi tutti gli appuntamenti già fissati, con un’unica significativa variazione. La giornata del 3 febbraio al teatro San Fedele, dedicata originariamente al ringraziamento nostro verso i tanti che operano, ciascuno nel proprio settore, per dare un futuro alla memoria delle vittime dei Lager, sarà trasformata in una manifestazione di solidarietà verso gli ex deportati. Facciamo appello ai giovani, alle forze della scuola, della cultura, dell’arte, dello spettacolo, dell’associazionismo, affinché il 3 febbraio si stringano attorno ai superstiti dei Lager e ai familiari dei caduti.
L’ANED è l’organizzazione unitaria che riunisce da sempre tutti "i cittadini italiani che per motivi politici o razziali furono deportati nei Lager nazisti e i familiari di tutti i caduti" (art. 4 dello Statuto).
Organizza ogni anno in tutta Italia conferenze, incontri, visite agli ex Lager nazisti coinvolgendo decine di migliaia di persone, specialmente giovani.
Ha pubblicato in proprio o con altre case editrici decine di libri, film, documentari e mostre. Appartenevano all’ANED sia Primo Levi che Vincenzo Pappalettera, autori di libri di testimonianza universalmente conosciuti.
È dell’ANED il primo sito Internet sull’argomento dei Lager (www.deportati.it) in rete fin dal 1997, ed "erede" della presenza dell’Associazione nella Rete Civica Milanese che data dal 1994, quando ancora il Web era praticamente sconosciuto in Italia.
L’ANED ha ricevuto l’Ambrogino d’Oro del Comune di Milano, così come pure, nel corso degli anni, molti suoi dirigenti: Gianfranco Maris, Nedo Fiano, Onorina Brambilla, Teo Ducci, Ada Buffulini e altri.
19 gennaio 2008
appello Democratico
ASSOCIAZIONE NAZIONALE PARTIGIANI D'ITALIA
COMITATO PROVINCIALE E REGIONALE - ROMA E LAZIO
I partigiani,i combattenti con gli alleati,i famigliari dei martiri e caduti, i superstiti e famigliari degli sterminati nei lager nazisti, gli antifascisti perseguitati dal regime
SI RIVOLGONO
Alle forze politiche che hanno la genesi nella Resistenza o che ne condividano gli ideali, ai sindacati, alle associazioni culturali e sociali perchè assumano iniziative a salvaguardia e promozione della democrazia, dello sviluppo sociale, della convivenza civile.
La crisi etica e operativa che investe la classe politica e ricade sul popolo italiano come mai è avvenuto dalla Liberazione ad oggi -con tanta intensità per la concomitanza di fatti anche criminali, inadempienze, egoismi personalistici- riflettendosi sulle istituzioni democratiche scuotendone la credibilità -a parte il discredito internazionale che colpisce la nazione- può aprire la strada -se la storia ci è maestra- a tentazioni e avventure autoritarie.
CHIEDONO
l'adesione a questo appello per un rinnovato impegno rivolto al superamento delle difficoltà che condizionano la vita politica e minano le basi della partecipazione popolare.
00165 ROMA – Via di San Francesco di Sales, 5 - tel. e fax: 06/6896519 Ente Morale D. Luogotenenziale n.224 del 5/4/45, c.c.p. 13252002 Cod. Fisc.80412420582 - P. IVA 06494201004
WEB : www.storiaxxisecolo.it - e-mail: anpi.roma@comune.roma.it – anpi.roma@libero.it
COMITATO PROVINCIALE E REGIONALE - ROMA E LAZIO
I partigiani,i combattenti con gli alleati,i famigliari dei martiri e caduti, i superstiti e famigliari degli sterminati nei lager nazisti, gli antifascisti perseguitati dal regime
SI RIVOLGONO
Alle forze politiche che hanno la genesi nella Resistenza o che ne condividano gli ideali, ai sindacati, alle associazioni culturali e sociali perchè assumano iniziative a salvaguardia e promozione della democrazia, dello sviluppo sociale, della convivenza civile.
La crisi etica e operativa che investe la classe politica e ricade sul popolo italiano come mai è avvenuto dalla Liberazione ad oggi -con tanta intensità per la concomitanza di fatti anche criminali, inadempienze, egoismi personalistici- riflettendosi sulle istituzioni democratiche scuotendone la credibilità -a parte il discredito internazionale che colpisce la nazione- può aprire la strada -se la storia ci è maestra- a tentazioni e avventure autoritarie.
CHIEDONO
l'adesione a questo appello per un rinnovato impegno rivolto al superamento delle difficoltà che condizionano la vita politica e minano le basi della partecipazione popolare.
00165 ROMA – Via di San Francesco di Sales, 5 - tel. e fax: 06/6896519 Ente Morale D. Luogotenenziale n.224 del 5/4/45, c.c.p. 13252002 Cod. Fisc.80412420582 - P. IVA 06494201004
WEB : www.storiaxxisecolo.it - e-mail: anpi.roma@comune.roma.it – anpi.roma@libero.it
17 gennaio 2008
Presidente Provincia di Milano. riceviamo e con piacere pubblichiamo
Caro Ivano, cari amici dell’Anpi,
quanto è accaduto è segno dell’ignoranza bieca di pochi che offende la comunità milanese che tanto ha contribuito alla storia democratica dell’intero Paese. Purtroppo, per impegni istituzionali precedentemente presi, non potrò essere presente al presidio organizzato per questo sabato ma vi assicuro fin da ora il mio pieno sostegno all’iniziativa. Desidero inoltre rinnovare a tutti voi la mia vicinanza e un grazie per l’impegno continuo che portate avanti.
Cordiali saluti
Filippo Penati
quanto è accaduto è segno dell’ignoranza bieca di pochi che offende la comunità milanese che tanto ha contribuito alla storia democratica dell’intero Paese. Purtroppo, per impegni istituzionali precedentemente presi, non potrò essere presente al presidio organizzato per questo sabato ma vi assicuro fin da ora il mio pieno sostegno all’iniziativa. Desidero inoltre rinnovare a tutti voi la mia vicinanza e un grazie per l’impegno continuo che portate avanti.
Cordiali saluti
Filippo Penati
15 gennaio 2008
ancora DISTRUTTA la lapide dei Partigiani
Segnaliamo e denunciamo pubblicamente che ancora una volta dopo il primo danneggiamento del 23 giugno 2007, nella notte tra domenica e lunedì 13 gennaio 2008 ignoti hanno divelto e rotto la lapide, affissa nel monumento al centro di Piazza Miani, in Milano.
Tale atto vandalico ha completamente spezzato in quattro tronconi la lapide ai caduti della Resistenza e del terrorismo, li esposta, danneggiando in modo irreparabile il marmo. La lapide ricordava le vittime del terrorismo, cinque agenti di polizia caduti sul nostro territorio, e ben trenta partigiani della nostra zona caduti per la libertà durante la Liberazione.
Colpiti ed allarmati esprimiamo forte preoccupazione per il crescendo nella città di Milano di episodi violenti di inequivocabile matrice fascista, facciamo affidamento alle istituzioni, alla cittadinanza, agli antifascisti affinché Milano e la nostra zona non conosca una nuova stagione di violenze.
Convochiamo per sabato 19/01/08 alle ore 15.00 un presidio davanti alla lapide distrutta, chiedendo un immediata risposta democratica a questo ennesimo sfregio alla nostra memoria, alle nostre radici.
sezione ANPI Barona
coordinamento ANPI Zona 6.
Tale atto vandalico ha completamente spezzato in quattro tronconi la lapide ai caduti della Resistenza e del terrorismo, li esposta, danneggiando in modo irreparabile il marmo. La lapide ricordava le vittime del terrorismo, cinque agenti di polizia caduti sul nostro territorio, e ben trenta partigiani della nostra zona caduti per la libertà durante la Liberazione.
Colpiti ed allarmati esprimiamo forte preoccupazione per il crescendo nella città di Milano di episodi violenti di inequivocabile matrice fascista, facciamo affidamento alle istituzioni, alla cittadinanza, agli antifascisti affinché Milano e la nostra zona non conosca una nuova stagione di violenze.
Convochiamo per sabato 19/01/08 alle ore 15.00 un presidio davanti alla lapide distrutta, chiedendo un immediata risposta democratica a questo ennesimo sfregio alla nostra memoria, alle nostre radici.
sezione ANPI Barona
coordinamento ANPI Zona 6.
11 gennaio 2008
No allo sfratto...
Milano, 2 gennaio 2008
È nota la gravissima situazione che è venuta a crearsi con la deliberazione, da parte del Comune di Milano, di vendere il palazzo di via Pietro Mascagni nel quale l’ANPI ha da sempre la sua sede.
II Comune di Milano, in relazione a questa vendita, ha fatto inviare all’ANPI dall’Assessore alla Casa una lettera soltanto per assicurarci che noi potremo continuare ad occupare questa nostra sede al massimo sino al 31 dicembre 2009, dopodiché dovremo andare altrove, sia pure “conservando l’attenzione che ha sempre avuto (il Comune) nei confronti dell’Associazione dei Partigiani“:
Dopo un approfondito esame della situazione gravissima davanti alla quale il Comune di Milano ha posto una istituzione come la nostra, che si colloca alla radice stessa della vita della Repubblica italiana, senza sentire la necessità di una consultazione con noi, ritenendo l’ANPI inaccettabile questo collocare da parte del Comune il rapporto con noi sul piano soltanto mercantile di un contratto di locazione, abbiamo scritto una lunga lettera al Sindaco Letizia Moratti nella quale poniamo con forza il “dovere civico da parte di tutte le istituzioni dello Stato, centrali e locali, di garantire una casa all’Associazione che è, nell’oggi del Paese, la proiezione di quelle strutture, figlie del Corpo Volontari della Libertà e del Comitato Nazionale Alta Italia, e, quindi, del Governo italiano del tempo, che contribuirono ieri a realizzare quella Repubblica che oggi, da quella lotta, trae legittimità internazionale e la legalità costituzionale”.È chiaro il problema che vogliamo aprire: quello cioè, dell’obbligo di una città Medaglia d’oro della Resistenza di garantire, con spese a proprio carico, una casa, una sede, per l’Associazione che rappresenta, anzi, che è costituita proprio da quelli che parteciparono al Corpo Volontari della Libertà e alla guerra di Liberazione.
Sarà una battaglia che impegnerà l’ANPI in prima persona, ma soprattutto le forze politiche sindacali, gli Enti, le Associazioni democratiche e la coscienza civile.
Con l’auspicio di un impegno effettivo, i migliori saluti
II PresidenteTino Casali
È nota la gravissima situazione che è venuta a crearsi con la deliberazione, da parte del Comune di Milano, di vendere il palazzo di via Pietro Mascagni nel quale l’ANPI ha da sempre la sua sede.
II Comune di Milano, in relazione a questa vendita, ha fatto inviare all’ANPI dall’Assessore alla Casa una lettera soltanto per assicurarci che noi potremo continuare ad occupare questa nostra sede al massimo sino al 31 dicembre 2009, dopodiché dovremo andare altrove, sia pure “conservando l’attenzione che ha sempre avuto (il Comune) nei confronti dell’Associazione dei Partigiani“:
Dopo un approfondito esame della situazione gravissima davanti alla quale il Comune di Milano ha posto una istituzione come la nostra, che si colloca alla radice stessa della vita della Repubblica italiana, senza sentire la necessità di una consultazione con noi, ritenendo l’ANPI inaccettabile questo collocare da parte del Comune il rapporto con noi sul piano soltanto mercantile di un contratto di locazione, abbiamo scritto una lunga lettera al Sindaco Letizia Moratti nella quale poniamo con forza il “dovere civico da parte di tutte le istituzioni dello Stato, centrali e locali, di garantire una casa all’Associazione che è, nell’oggi del Paese, la proiezione di quelle strutture, figlie del Corpo Volontari della Libertà e del Comitato Nazionale Alta Italia, e, quindi, del Governo italiano del tempo, che contribuirono ieri a realizzare quella Repubblica che oggi, da quella lotta, trae legittimità internazionale e la legalità costituzionale”.È chiaro il problema che vogliamo aprire: quello cioè, dell’obbligo di una città Medaglia d’oro della Resistenza di garantire, con spese a proprio carico, una casa, una sede, per l’Associazione che rappresenta, anzi, che è costituita proprio da quelli che parteciparono al Corpo Volontari della Libertà e alla guerra di Liberazione.
Sarà una battaglia che impegnerà l’ANPI in prima persona, ma soprattutto le forze politiche sindacali, gli Enti, le Associazioni democratiche e la coscienza civile.
Con l’auspicio di un impegno effettivo, i migliori saluti
II PresidenteTino Casali
03 gennaio 2008
Neve
Per lunghe ore osservo
neve cadente
e trascinar mi sento nel passato
quando da bimbo
correvo a perdifiato
tuffandomi
nel bianco desiato
e poi ancora
neve
ti ricorda
il lungo inverno su in montagna
dove il bianco spesso diventava
macchia di rosso
e poi si dileguava
e neve
ancora neve
ad ognuno porta i suoi ricordi
http://taietti-pietro-mario.blogspot.com/
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