10 febbraio 2009

Eluana, riceviamo e pubblichiamo.

10 febbraio 2009: Libera Nos

Ho letto più e più volte le parole, assordanti fino alla disumanità, con cui un "professionista dell'informazione" ha costruito l'editoriale odierno dell'Avvenire.
Me lo sono immaginato e figurato, questo professionista, nel momento in cui ha apposto il punto finale al suo scritto. Subito dopo avrà riletto e forse si sarà lui per primo sentito turbato e percosso dal crescendo invasato che ha saputo confezionare con elementari, ma certo efficaci, trucchi retorici.
Di fronte a questa immagine ho avvertito il segnale inconfondibile della vertigine, il morso che rende materiale la paura e la trasforma in un dolore spesso, consistente, presente in tutta la sua fisicità. E' un colpo micidiale che si abbatte sulle ultime vertebre, quasi al coccige, e che taglia il corpo a metà: le gambe raggelano mentre un'ondata di calore, quasi una lingua di fuoco, sale a divorare i polmoni e a divampare nel cranio. Una frazione di secondo, credo...ma basta a levare ogni vista, respiro, percezione di sè. Mi sono spesso detta che questo non può essere altro che il ricordo della Caduta, la memoria degli angeli feriti impressa nel corpo dei mortali per tutti i tempi a venire.
Ma quella che impugnava quel giornalista non era la spada di Dio. Solo il coltellaccio con cui una moltitudine di idolatri, troppe volte nella storia, ha straziato le carni dei corpi legati alla ruote della tortura, nel buio, quello sì infernale, di tutte le Sante Inquisizioni nelle quali uomini piccoli hanno seviziato i loro fratelli e le loro sorelle "in nome del Padre".
Allora mi sono liberata della paura, ho ricacciato giù la vertigine e ho provato un'intensa pietà per un uomo che con l'inaudita violenza del suo linguaggio ha solo dimostrato di non sapere né comprendere nulla di quella misericordia senza la quale mai alcuno potrebbe credere d'essere fatto "b'Tselem", a Sua immagine e somiglianza.
Dal professionismo meschino di quell'editorialista e dalle tracotanti certezze di chi lo ha incoraggiato a trovare così brutte parole per dire concetti ancora peggiori, nella mia finitezza di donna che di giorno in giorno accetta di "errare atque viam palantis quaerere vitae" io mi difendo con le parole della Lettera ai Corinzi

"...E quand'anche avessi il dono della profezia
e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza,
e avessi anche tanta fede da trascinare le montagne,
se non ho amore, nulla io sono..."

e ricordandomi che sempre la carità ha da essere al di sopra di tutto, persino della speranza e della fede medesima.
Roberta.


Ed ecco l'editoriale dell'Avvenire del 10/02/09

NON MORTA, MA UCCISA ADESSO PERÒ VOGLIAMO SAPERE TUTTO
Marco Tarquinio
Eluana è stata uccisa. Davanti alla morte le parole tornano nude. Non consentono menzogne, non tollerano mistificazioni. E se noi – oggi – non le scrivessimo, queste parole nude e ve­re, se noi – oggi – non chiamassimo le cose con il loro nome, se noi – oggi – non gridassimo questa tristissima ve­rità, non avremmo più titolo morale per parlare ai nostri lettori, ai nostri concittadini, ai nostri figli. Non sa­remmo cronisti, e non saremmo nem­meno uomini. Eluana è stata uccisa. Una settimana esatta dopo essere stata strappata al­l’affetto e alla «competenza di vita» delle sorelle che per 15 anni, a Lecco, si erano pienamente e teneramente occupate di lei. In un momento im­precisato e oscuro del «protocollo», or­ribile burocratico eufemismo con il quale si è cercato di sterilizzare inva­no l’idea di una «competenza di mor­te » messa in campo, a Udine, per por­re fine artificialmente ai suoi giorni. Eluana è stata uccisa. E noi osiamo chiedere perdono a Dio per chi ha vo­luto e favorito questa tragedia. Per o­gni singola persona che ha contribui­to a fermare il respiro e il cuore di una giovane donna che per mesi era stata ostinatamente raccontata, anzi sen­tenziata, come «già morta» e che mor­ta non era. Chiediamo perdono per o­gnuno di loro, ma anche per noi stes­si. Per non aver saputo parlare e scri­vere più forte. Per essere riusciti a scal­fire solo quando era troppo tardi il mu­ro omertoso della falsa pietà. Per aver trovato solo quando nessuno ha volu­to più ascoltarle le voci per Eluana (le altre voci di Eluana) che erano state nascoste. Sì, chiediamo perdono per o­gni singola persona che ha voluto e fa­vorito questa tragedia. E per noi che non abbiamo saputo gridare ancora di più sui tetti della nostra Italia la scandalosa verità sul misfatto che si stava compiendo: senza umanità, sen­za legge e senza giustizia. Eluana è stata uccisa. E noi vogliamo chiedere perdono ai nostri figli e alle nostre figlie. Ci perdonino, se posso­no, per questo Paese che oggi ci sem­bra pieno di frasi vuote e di un unico gesto terribile, che li scuote e nessuno saprà mai dire quanto. Con che occhi ci guarderanno? Misurando come le loro parole, le esclamazioni? Rinun­ceranno, forse per paura e per sospet­to, a ragionare della vita e della morte con chi gli è padre e madre e maestro e amico e gli potrebbe diventare testi­mone d’accusa e pubblico ministero e giudice e boia? Chi insegnerà, chi di­mostrerà, loro che certe parole, che le benedette, apodittiche certezze dei vent’anni non sono necessariamente e sempre pietre che gli saranno far­dello, che forse un giorno potrebbero silenziosamente lapidarli. Ci perdoni­no, se possono. Perché Eluana è stata uccisa. Sì, Eluana è stata uccisa. E noi, oggi, abbiamo solo una povera tenace spe­ranza, già assediata – se appena guar­diamo nel recinto delle aule parla­mentari – dalle solite cautelose sotti­gliezze, dalle solite sferraglianti pole­miche. Eppure questa povera tenace speranza noi la rivendichiamo: che non ci sia più un altro caso così. Che Eluana non sia morta invano, e che non muoia mai più. Ci sia una legge, che la politica ci dia subito una legge. E che nessuno, almeno nel nostro Paese, sia più ucciso così: di fame e di sete. Ma che si faccia, ora, davvero giustizia. Che s’indaghi fino in fondo, adesso che il «protocollo» è compiuto e il mistero di questa fine mortalmente c’inquie­ta. Non ci si risparmi nessuna do­manda, signori giudici. Ci sia traspa­renza finalmente, dopo l’opacità che ci è stata imposta fino a colmare la mi­sura della sopportazione. E si rispon­da presto, si risponda subito, si ri­sponda totalmente. Come è stata uc­cisa Eluana?

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