Luchino dal Verme ("Maino")
Nato a Milano il 21 Novembre 1912.
Di famiglia aristocratica lombarda (il casato, d’origine veronese, nasce nel 1320 con l’omonimo Luchino Dal Verme, capitano di ventura, poi infeudato ai Visconti), Il Conte Luchino dal Verme, come tenente di artiglieria a cavallo, in forza al reggimento Savoia Cavalleria, combatte in Francia e sul fronte Jugoslavo. Dal luglio 1941 all’ottobre 1942, partecipa alla Campagna di Russia, ed è fra gli scampati al disastro dell’Armir riesce a far rientro in Italia. L’armistizio dell’8 settembre lo vede impegnato a Forlì nell’addestramento di reclute per la ricostituzione del suo reggimento. Si sente "tradito" dai Savoia che scappano a Brindisi lasciando allo sbando l’esercito italiano. Luchino Dal Verme riesce a sottrarsi alla cattura e ritorna al castello di Torre degli Alberi (nell’Oltrepo Pavese), residenza di famiglia, dove rimane nascosto per sei mesi. L’incontro con Italo Pietra che ha scritto di lui bellissime pagine nel suo libro "I grandi e i grossi" (Mondadori, 1973, ), lo convince a troncare il tradizionale legame familiare con la monarchia e ad entrare nella Resistenza. Nasce così la leggenda del Conte partigiano, o meglio del "Cònt" come viene chiamato, nel dialetto locale, tra i suoi uomini. “È un bell’esempio”, così ne parla Paolo Murialdi dopo averlo conosciuto. Sono poi poeticamente azzeccate le parole di Corrado Stajano, che definisce il partigianato di "nobile aristocratico" come un’esperienza di un “uguale tra gli uguali”. Contribuisce ad organizzare le prime formazioni partigiane operanti in provincia di Pavia. Come nome di battaglia, usa l’appellativo di "Maino". Non nasce però dall’unione delle parole "mai" - "no" ma, molto più semplicemente, come divertito spiegherà tante voltelo stesso Luchino Dal Verme, era il nome di una marca di biciclette. Diventa comandante dell’88a Brigata "Casotti" ed in seguito viene destinato al comando della Divisione garibaldina "Antonio Gramsci", alla cui testa, nell’Aprile del ’45 scenderà dalla Montagna alla Pianura. Diventa un ossessivo bersaglio dei nazifascisti al pari di un altro leggendario comandante, l”Americano” E come lui, comanda i partigiani "garibaldini", vicini al P.C.I,. Sembra un controsenso per un nobile, mai stato comunista, anzi, cresciuto con una salda formazione cattolica. Ma è lo stesso "Maino" che spiega. nel libro "La Resistenza in Lombardia", (1965) le ragioni di quella sua scelta: “Ebbi la responsabilità di comando di una formazione Garibaldi e il primo argomento di cui debbo e voglio parlare sono gli uomini con i quali ho condiviso rischi e responsabilità, in uno spirito di solidarietà e reciproca fiducia, che è certamente il ricordo più vero e più importante che mi sia rimasto. Non dimentichiamo che la Divisione "Gramsci", di cui ebbi la responsabilità di comando, era di promozione comunista. Ebbene, non ho mai saputo quanti fossero comunisti e quanti no, ma so quanti morirono per tutti noi, per la libertà di ciascuno di noi. Questo ci impone di sapere cosa ne abbiamo fatto della nostra libertà o per lo meno che cosa intendiamo farne …” Numerose sono le azioni che conduce, tendendo imboscate ai nazifascisti lungo la Via Emilia, distruggendo i binari della ferrovia Torino-Piacenza, ed anche affrontando il nemico a "viso aperto", come nella battaglia di Costa Pelata, che vede una serie di scontri intensi, che mutano continuamente di posizione
Nella notte tra il 25 e il 26 Aprile "Maino", con i suoi uomini, attacca Casteggio, che occupa, dopo 5 ore di accaniti combattimenti. Il 27 Aprile raggiunge Milano, dove si sentono ancora gli spari di fascisti e di reparti tedeschi che non si vogliono arrendere. Nel primo dopoguerra, i partiti antifascisti gli propongono di impegnarsi a livello politico come candidato alle elezioni per l’Assemblea Costituente del 1946, ma Luchino dal Verme risponde “No” a tutti, in quanto non ritiene quell’impegno adatto alla sua indole. Dopo una breve parentesi a Novara, ritorna a Torre degli Alberi, da dove non si muove più:impegnandosi nella difesa delle sue amatissime montagne e continua un’appassionata opera di testimonianza sul nostro recente passato.
Di famiglia aristocratica lombarda (il casato, d’origine veronese, nasce nel 1320 con l’omonimo Luchino Dal Verme, capitano di ventura, poi infeudato ai Visconti), Il Conte Luchino dal Verme, come tenente di artiglieria a cavallo, in forza al reggimento Savoia Cavalleria, combatte in Francia e sul fronte Jugoslavo. Dal luglio 1941 all’ottobre 1942, partecipa alla Campagna di Russia, ed è fra gli scampati al disastro dell’Armir riesce a far rientro in Italia. L’armistizio dell’8 settembre lo vede impegnato a Forlì nell’addestramento di reclute per la ricostituzione del suo reggimento. Si sente "tradito" dai Savoia che scappano a Brindisi lasciando allo sbando l’esercito italiano. Luchino Dal Verme riesce a sottrarsi alla cattura e ritorna al castello di Torre degli Alberi (nell’Oltrepo Pavese), residenza di famiglia, dove rimane nascosto per sei mesi. L’incontro con Italo Pietra che ha scritto di lui bellissime pagine nel suo libro "I grandi e i grossi" (Mondadori, 1973, ), lo convince a troncare il tradizionale legame familiare con la monarchia e ad entrare nella Resistenza. Nasce così la leggenda del Conte partigiano, o meglio del "Cònt" come viene chiamato, nel dialetto locale, tra i suoi uomini. “È un bell’esempio”, così ne parla Paolo Murialdi dopo averlo conosciuto. Sono poi poeticamente azzeccate le parole di Corrado Stajano, che definisce il partigianato di "nobile aristocratico" come un’esperienza di un “uguale tra gli uguali”. Contribuisce ad organizzare le prime formazioni partigiane operanti in provincia di Pavia. Come nome di battaglia, usa l’appellativo di "Maino". Non nasce però dall’unione delle parole "mai" - "no" ma, molto più semplicemente, come divertito spiegherà tante voltelo stesso Luchino Dal Verme, era il nome di una marca di biciclette. Diventa comandante dell’88a Brigata "Casotti" ed in seguito viene destinato al comando della Divisione garibaldina "Antonio Gramsci", alla cui testa, nell’Aprile del ’45 scenderà dalla Montagna alla Pianura. Diventa un ossessivo bersaglio dei nazifascisti al pari di un altro leggendario comandante, l”Americano” E come lui, comanda i partigiani "garibaldini", vicini al P.C.I,. Sembra un controsenso per un nobile, mai stato comunista, anzi, cresciuto con una salda formazione cattolica. Ma è lo stesso "Maino" che spiega. nel libro "La Resistenza in Lombardia", (1965) le ragioni di quella sua scelta: “Ebbi la responsabilità di comando di una formazione Garibaldi e il primo argomento di cui debbo e voglio parlare sono gli uomini con i quali ho condiviso rischi e responsabilità, in uno spirito di solidarietà e reciproca fiducia, che è certamente il ricordo più vero e più importante che mi sia rimasto. Non dimentichiamo che la Divisione "Gramsci", di cui ebbi la responsabilità di comando, era di promozione comunista. Ebbene, non ho mai saputo quanti fossero comunisti e quanti no, ma so quanti morirono per tutti noi, per la libertà di ciascuno di noi. Questo ci impone di sapere cosa ne abbiamo fatto della nostra libertà o per lo meno che cosa intendiamo farne …” Numerose sono le azioni che conduce, tendendo imboscate ai nazifascisti lungo la Via Emilia, distruggendo i binari della ferrovia Torino-Piacenza, ed anche affrontando il nemico a "viso aperto", come nella battaglia di Costa Pelata, che vede una serie di scontri intensi, che mutano continuamente di posizione
Nella notte tra il 25 e il 26 Aprile "Maino", con i suoi uomini, attacca Casteggio, che occupa, dopo 5 ore di accaniti combattimenti. Il 27 Aprile raggiunge Milano, dove si sentono ancora gli spari di fascisti e di reparti tedeschi che non si vogliono arrendere. Nel primo dopoguerra, i partiti antifascisti gli propongono di impegnarsi a livello politico come candidato alle elezioni per l’Assemblea Costituente del 1946, ma Luchino dal Verme risponde “No” a tutti, in quanto non ritiene quell’impegno adatto alla sua indole. Dopo una breve parentesi a Novara, ritorna a Torre degli Alberi, da dove non si muove più:impegnandosi nella difesa delle sue amatissime montagne e continua un’appassionata opera di testimonianza sul nostro recente passato.
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