"La Storia siamo NOI" - Agosto 2021 numero 2° a cura di Stefania Cappelletti.
È l'alba del 10 agosto 1944, si aprono le porte di alcune celle a San Vittore. 15 uomini vengono fatti uscire e scendere nel cortile.
Il capo della Provincia, Parini, scrive subito un promemoria al Duce: "hanno cominciato a svegliarli alle 4:30, li hanno fatti scendere in cortile e hanno dato loro una tuta. Qualcuno avrebbe cominciato a spargere la voce che sarebbero stati destinati al servizio del lavoro in Germania. Sul registro di San Vittore vengono scaricati con l' annotazione manoscritta "trasferiti per Bergamo".
La sera prima il comandante provinciale della GNR (guardia nazionale repubblicana), il colonnello Pollini, riceve l'ordine dal comando militare germanico di fornire per l'alba del giorno dopo un plotone.
Da San Vittore a piazzale Loreto il tragitto è breve. Ad attenderli gli sgherri della Muti, servi degli invasori nazisti comandati, qui a Milano, dal capitano Theodor Saevecke.
La rappresaglia viene giustificata con un attentato avvenuto il giorno prima in viale Abruzzi contro un furgone delle forze armate tedesche. Un obiettivo assolutamente inutile, un camion che portava derrate alimentari. Nessun tedesco morì o e l'autista venne solo leggermente ferito dal rudimentale ordigno esplosivo. Non esisteva alcun motivo per applicare il bando del maresciallo Kesserling (lo stesso bando che causò la morte per fucilazione di 335 innocenti alle Fosse ardeatine). Purtroppo, invece, ci furono vittime tra i cittadini milanesi.
Nessuna squadra partigiana, gappista o sappista, ha mai rivendicato quell'azione.
Il vero motivo della rappresaglia decisa da Saevecke è il tentativo di incutere terrore nella cittadinanza, di togliere terreno e appoggio alla 3ª GAP (gruppi di azione patriottica) e alle SAP (squadre d'azione patriottica) che negli ultimi mesi avevano messo alle strette il nemico nazifascista con una serie di importantissime azioni colpendo coraggiosamente senza sosta.
Parini scrive, dopo il resoconto avuto dal colonnello Pollini, come si svolse la fucilazione dei 15 ostaggi: "Avvenne una sparatoria disordinata. I disgraziati si erano intanto un po' sbandati in un estremo tentativo di fuga e quindi furono colpiti in tutte le parti del corpo. Uno di essi, ferito a morte, riuscire ad attraversare il piazzale entrare in casa e salire sino al pianerottolo del secondo piano, dove spirò in un lago di sangue."
Ma secondo Saevecke non era sufficiente fucilare 15 uomini. Ordinò che i corpi venissero lasciati lì, sorvegliati dai mutini che formavano un cordone intorno ai cadaveri, affinché tutta la popolazione potesse vederli e capire chi comandava.
Non ci volle molto perché la notizia si spargesse in giro per la città. Si formò velocemente una folla di gente che restava a guardare attonita, disperata e rabbiosa, questa scena disumana.
Sopra i cadaveri era stato affisso un cartello firmato dal comando germanico che indicava nell'attentato di viale Abruzzi la causa della rappresaglia.
Su "La nostra lotta ", organo del partito comunista Italiano, si legge:
"Durante tutta la giornata il popolo milanese si è riversato sulla piazza Loreto a rendere omaggio a 15 dei suoi migliori figli. Durante tutta la giornata gli sgherri della Muti, di guardia ai fucilati, hanno dovuto sparare continuamente colpi di fucile, per tenere lontano disperdere la folla che diventava
sempre più numerosa e minacciosa davanti ai caduti."
In diverse fabbriche milanesi gli operai fermarono il lavoro. Alla Pirelli i lavoratori innalzarono un grande cartello con la scritta "Temolo".
Fu solo grazie all'intervento del cardinale Schuster che le salme poterono essere raccolte. Mazzi di fiori deposti dai lavoratori e dai cittadini sul selciato intriso di sangue rimasero per lungo tempo a testimoniare la solidarietà della popolazione milanese ai suoi martiri e alla lotta partigiana.
In origine l'elenco degli ostaggi era di 26 persone, tra queste c'era anche Giuditta Muzzolon che all'ultimo venne graziata e invece di essere fucilata venne mandata in un campo di concentramento (Ravensbrück).
Altri 10 ostaggi videro la pena commutata in condanna penitenziaria fino al prossimo sabotaggio: in realtà vennero tutti mandati nei campi di concentramento in Germania.
Così scriveva Camilla Cederna, una delle tante donne che accorse sul luogo dell'eccidio: "formavano un gruppo tragicamente disordinato, per via del sangue, delle pose scomposte, dell'essere una piazza quasi a contatto con i passanti. Uno addosso all'altro, pieni di mosche, sotto un sole tremendo, chi con le braccia aperte Chi è rannicchiato; e sui cadaveri un cartello: "il comando militare tedesco".
Importante la testimonianza di Giovanni Pesce, "Visone", comandante della 3ª GAP:
"In piazzale Loreto una folla sconvolte sbigottita. Si respira ancora l'odore acre della polvere da sparo. I corpi massacrati sono quasi irriconoscibili. I briganti neri, pallidi, nervosi, torturano il fucile mitragliatore ancora caldo, parlano ad alta voce, eccitatissima per aver sparato l'intero caricatore. Sbarbatelli feroci, vicino ai delinquenti della vecchia guardia avvezzi al sangue ai massacri, ostentano un atteggiamento di sfida, avvolgendo le spalle alle vittime, il ceffo alla folla".
Corriere della Sera. 11 agosto 1944
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