30 agosto 2021

La Storia siamo Noi - I Martiri di Via Tibaldi.

“La Storia siamo NOI” Periodico a carattere storico, ANPI Barona Milano, a cura di Stefania Cappelletti. (No copia incolla, libri e documenti vengono citati).  
 
I Martiri di Via Tibaldi. - È il 28 agosto 1944, tardo pomeriggio. In viale Tibaldi arrivano camionette di fascisti, di brigatisti neri. Obbligano i negozianti a tirare giù le saracinesche, intimano ai cittadini di rientrare nelle loro case e chiudere le finestre. Non deve restare nessuno in strada. Ogni accesso a viale Tibaldi viene bloccato.
Quattro uomini vengono fatti scendere da una delle camionette: devono essere sorretti perché faticano a stare in piedi dopo le torture a cui sono stati sottoposti per ore nella sede della Muti di via Rovello dal famigerato Francesco Colombo (un ragazzino, che riesce ad avvicinarsi in seguito ai cadaveri dei quattro martiri, racconterà di aver visto dei chiodi conficcati nelle loro mani come fossero stati crocifissi).
I quattro partigiani vengono messi uno accanto all'altro davanti al numero civico 26, poco distanti dalla trattoria Roma in cui sono stati arrestati in una retata al mattino, e trucidati a colpi di mitraglia.
La trattoria Roma era gestita da Daniele Richini che apparteneva alla 113ª Brigata Sap. Spesso i quattro partigiani erano suoi ospiti, tenevano incontri nel suo locale, si riposavano e mangiavano e, non di rado, gli lasciavano in custodia armi e munizioni. Un sistema pericoloso, non rispettoso delle regole della clandestinità. Anche Daniele Richini viene arrestato, ma il suo destino non è la fucilazione immediata bensì l'invio ad un campo di concentramento nazista: Mauthausen, da cui tornò dopo la liberazione.
Ma chi sono questi quattro partigiani?
Albino Abico (24 anni), Giovanni Alippi "Galippo"(23 anni), Bruno Clapiz (31 anni) e Maurizio Del Sale (47 anni).
Tutti e quattro provengono da Baggio, hanno una radicata storia antifascista: la famiglia Abico era una nota famiglia socialista, punto di riferimento per tutti gli antifascisti baggesi e sorvegliata speciale dai fascisti. La loro casa, in via Scanini 27, era luogo di ritrovo per le riunioni clandestine, per ospitare renitenti alla leva che volevano andare a lottare in montagna, come deposito per volantini e stampa clandestina. La famiglia Abico aveva conosciuto fin dagli anni Venti le perquisizioni, le botte, il carcere e anche il confino.
Albino (nato a Chiaravalle il 24 novembre 1919) lavorava come operaio metallurgico. Viene mandato in Russia come autista di ambulanze ma, ferito in più parti del corpo, viene rimpatriato. Alla notizia dell'armistizio è ancora in caserma e subito agisce insieme ad altri soldati requisendo armi ed entrando nella lotta clandestina. Prende infatti contatti con gli antifascisti milanesi e, quando a metà ottobre 1943, Egisto Rubini forma la 3ª GAP Albino è tra i primi ad entrarvi.
Giovanni Alippi, "Galippo" (nato a Quarto Cagnino il 24 settembre 1920) aiutava il padre nella coltivazione di un piccolo terreno a Quarto Cagnino. Dopo il servizio di leva inizia attivamente a partecipare ad attività antifasciste di propaganda diffondendo copie dell'"Unità", motivo per cui è già segnalato ai fascisti. Dopo l'uccisione del federale Aldo Resega e l'attentato al suo corteo funebre, a Quarto Cagnino vengono arrestati 23 antifascisti, tra cui anche Giovanni: viene rilasciato circa due mesi dopo perché non esistevano prove a suo carico. In realtà faceva già parte della 3ª GAP di Egisto Rubini.
Bruno Clapiz (nato a Trieste il 19 aprile 1913) arriva a Milano dopo l'8 settembre 1943 con la moglie e il figlio di 5 anni. Abitava in via Forze Armate, 177. Faceva il barbiere e dopo l'armistizio riesce ad entrare nella 3ª Gap di Rubini.
Maurizio Del Sale (nato a Suno Novarese il 16 aprile 1897), di famiglia contadina, abitava in una cascina ad Assiano, un piccolissimo borgo attaccato a Baggio. Irriducibile antifascista, anarchico, subito dopo l'8 settembre entra nella lotta con la Gap di Rubini.
Nel febbraio 1944 la 3ª Gap subisce una tremenda serie di arresti, perlopiù su delazione. Cadono in mano ai nazifascisti quasi tutti i gappisti tra cui anche l'eroico comandante Egisto Rubini che, dopo le prime atroci torture, si impicca nella sua cella per evitare di tradire i compagni.
Per mesi (fino a giugno 1944 quando arriva a Milano il comandante gappista Giovanni Pesce, "Visone") la lotta antifascista milanese è bloccata, c'è paura, mancano i collegamenti, le direttive, insomma una guida vera e propria.
Bruno Clapiz sale in montagna, in Val Grande, ed entra nell' 85ª Brigata Garibaldi comandata da Mario Muneghina.
Abico, Alippi, e Del Sale formano un loro gruppo con sede nella cascina di Maurizio. Vengono chiamati il "gruppo di Assiano". Con loro ci sono anche Cesare e Giuseppina Tuissi, fidanzata di Giovanni ("Gianna" nota per la triste vicenda del capitano "Neri" a fine guerra), Mario Negroni, "Nando", Edoardo Tia, "Pino" e altri.
Sono molto attivi ma non attenti alle regole della lotta clandestina e della guerriglia urbana: in occasione del primo anniversario della caduta del fascismo, il 25 luglio 1944, con una quarantina di altri giovani, in pieno giorno invadono Baggio armati di moschetti e pistole costringendo alla fuga un gruppo di fascisti. Nel giro di un'ora i fascisti tornano con più forza e con un camion carico di mitragliatrici. È inevitabile lo scontro: Abico e Alippi si appostano dietro un avvallamento in attesa dell'arrivo dei repubblichini. Alle 14 si sente il rumore del camion che viene accolto a colpi di mitragliatrici e bombe a mano ed è obbligato alla ritirata, non senza riportare feriti. In via Scanini viene ucciso un Caporale della milizia e i fascisti riescono a tornare solo la sera per recuperare il loro morto.
La lotta si era svolta a viso scoperto e i giovani baggesi sapevano di essere stati riconosciuti, così, senza indugi, durante la notte partono per la Val d'Ossola, la Val Grande e l'Oltrepò Pavese.
Abico, Alippi e Del Sale raggiungono l' 85ª Brigata Garibaldi "Valgrande martire". Vi rimangono poco tempo ma abbastanza per entrare in contatto con Ruggero Brambilla, "Nello", e per riprendere la lotta in città nella GAP Mendel. Insieme a loro torna a Milano Bruno Clapiz. Di fatto sono il gruppo di combattimento in città dell'85ª Brigata cui forniranno, con le loro azioni, armi e materiali.
Le loro azioni si susseguono in modo incalzante: aiutano e nascondono i ricercati (in una cascina nascondono tre francesi e in una cantina in via Scanini un altro fuggiasco); procurano cibo per i partigiani in montagna, disarmano guardie e soldati come a Quinto Romano dove riescono anche ad entrare nel deposito di armi allestito nella scuola materna o come alla caserma di Piazzale Brescia dove, indossando divise della Marina militare, requisiscono un camion pieno di armi e munizioni e lo portano in Val d'Ossola superando tranquillamente tutti i posti di blocco nazifascisti.
L'8 agosto, galvanizzati dalla Liberazione di Firenze di due giorni prima, decidono di fare un'azione dimostrativa per tutta la città: partendo su un'automobile dalla stazione di porta Genova lanciano manifestini inneggianti la liberazione di Firenze e copie dell'"Unità" clandestina percorrendo corso Genova, via Torino, Corso Vittorio Emanuele, Corso Venezia, Corso Buenos Aires. Li segue un furgoncino con a bordo altri due partigiani, "Milan" e "Pino"; hanno l'appoggio degli altri uomini di "Nello". Due motociclisti repubblichini cercano di fermarli ma vengono uccisi in piazza Piola.
È proprio questa azione a spingere i nazifascisti a stringere il cerchio attorno a loro; ci sono versioni diverse su come il nemico riuscì a scoprire il luogo e il giorno del loro incontro: c'è chi parla di spie, tante ce n'erano a Baggio; chi della vendita dell'auto, con cui fu compiuta questa azione, a dei malavitosi che non si fecero pregare molto per dare le informazioni richieste. Resta il fatto che la Muti giunse alla trattoria Roma a colpo sicuro.
Poco prima di essere riportato in viale Tibaldi per la fucilazione Albino Abico (che verrà insignito a fine guerra della medaglia d'argento al valore militare) scrive l'ultima lettera alla sua famiglia:
"Carissimi, mamma, papà, fratelli, sorella, compagne tutti, mi trovo senz'altro a breve tempo dall'esecuzione, mi trovo però calmo e muoio sereno con l'animo tranquillo contento di morire per la nostra cara e bella italia. Il sole risplenderà su noi un domani perché niente di male sono sicuro di aver fatto. Voi siate forti come lo sono io e non disperate; voglio che voi siate fieri ed orgogliosi del vostro caro Albino che sempre vi ha voluto tanto bene.
Un ricordo particolare al caro fratello Ambrogio che dal giorno che partì per la Russia non l'ho più rivisto.
Vi abbraccio tutti e vi bacio portando meco il ricordo di voi tutti.
Vostro affezionatissimo Albino." -
Fonti:
-Giuliana Cislaghi "Baggio antifascista", edizione 2005 Anpi
-Luigi Borgomaneri "Due inverni un'estate e la rossa primavera", Franco Angeli
-Piero Malvezzi, Giovanni Pirelli, "Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana", Einaudi
- Giornale clandestino "La fabbrica" 15 settembre 1944.

La Fabbrica - 15 settembre 1944





Corriere della Sera - 30 agosto 1944.





L'ultima lettera di Albino (Fonte INSMLI)






Albino Abico.





Giovanni Alippi.






















Maurizio Del Sale.



















Bruno Clapiz.

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