08 marzo 2021

I Partigiani della Barona: Enrico Grandi.


 

























Enrico Grandi "Orfeo".  Lapide in Via Ciani 7 Milano.

Enrico Grandi “Orfeo”

Nato a Rodigo (Mantova) l’11/07/1901 da Perfetto e Cristina Bosio, risiedeva in via Ciani 7.

Apparteneva alla 113ª Brigata Garibaldi SAP e poi divenne Commissario politico della 40ª Brigata Garibaldina della Libertà e fece parte del Gruppo d’assalto “Giacomo Matteotti”.

Il suo nome di battaglia era “Orfeo”, ma altre fonti gli attribuiscono il nome di “Bafed”.

Cadde in combattimento contro i nazifascisti in Val Brona (Sondrio) l’1/10/1944, nella battaglia di Mello (o di S. Antonio), uno dei più cruenti scontri tra le forze della Resistenza Partigiana e i fascisti. Ebbe come baricentro il tempietto di S. Antonio, sull’attuale pista che congiunge Mello a S. Giovanni di Bioggio, e coinvolse anche l’abitato di Mello. Lo scontro durò tutto il giorno fino alle ore 20, quando i fascisti decisero di ritirarsi, dopo aver comunque distrutto e incendiato molte case. Nel frattempo i Partigiani, lasciati i morti nel cimitero di Mello, ripiegarono verso Poira. Si chiuse così una giornata tragica. 
Tra i partigiani caduti, oggi ricordati con una lapide presso la chiesetta di S. Antonio, c’era anche Enrico Grandi. 

Il 2 giugno 1944 un gruppo di Partigiani forma la 40ª Brigata Garibaldi d’assalto Matteotti, una Brigata di montagna che la Federazione del PCI di Milano organizza sulle montagne della bassa Valtellina, da Colico sino a Sondrio e nella Valsassina. 

A luglio 1944 viene formata la 1ª “Garibaldi” composta dalla 40ª “Matteotti”, dalla 52 ª “Clerici” e dalla 90 ª “Zampiero”. (Dioniso Gambaruto) “Diego” era il comandante, (Luigi Grassi) “Primo” il commissario politico. Gli uomini di maggior spicco erano “Silvio” comandante della 40 ª, “Tiberio”, comandante della 90 ª, “Nino”, (Enrico Grandi) “Orfeo”, commissario politico della 90 ª, e “Lombardo”. 
Nell’agosto 1944 l’avanzata degli alleati viene bloccata al di sotto della linea gotica. Proprio in questa parte del territorio Italiano i tedeschi, ancora ben equipaggiati e con grande quantità di mezzi e munizioni, ne approfittano per eseguire tutta una serie di massicci rastrellamenti, avvalendosi anche dell’apporto delle forza della Repubblica di Salò, sempre disponibili per queste azioni. 

Il 1° ottobre 1944 lo scontro si fa subito duro, difficile e drammatico. Consistenti forze fasciste, circa 200 unità, provenienti da Ardenno, Cino e Cercino, si scontrano con un più contenuto numero di partigiani della 40ª Brigata Matteotti e della 90ª Brigata Zampiero, che furono i primi a scontrarsi con i fascisti, asserragliati nella chiesa di San Giovanni di Bioggio, disposti ad arrendersi ma solo a parole. 
La battaglia fu lunga, resa caotica dai trucchi dei fascisti travestitisi da partigiani con il fazzoletto rosso garibaldino al collo.
La lotta si frammenta in una serie di scontri ravvicinati che si tengono in località spesso distanti tra loro e che coprono una vasta area del comune. La dinamica del combattimento lo rende a lungo incerto. Fa già buio, ma continuano gli scontri. 

Nonostante i successivi apporti di uomini e mezzi, i fascisti, attorno alle 8 di sera, decidono di ritirarsi e caricano su tre camion i morti e i feriti. 

L’abitato viene dato alle fiamme. I Partigiani solo a tarda sera potranno fare il conto dei morti, purtroppo numerosi, cercandoli tra i boschi e tra le pietre, e finalmente curare i feriti. 



 














Le Lapidi della Barona 


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