"Sono a Mulino Doppio (via Bardolino 30), qui, in questo fabbricato che si perde in secoli di storia se ne parla già come di un doppio mulino in alcune carte del 1589, poi sede di una filanda. Durante la guerra 1915-18 fu un ospedale militare per i poveri soldati feriti in terre di confine, e infine caseggiato di ringhiera, parte delle mie radici sono nate qui... Mio padre e i suoi sei fratelli sono nati tra queste mura, mia non- na Giovanna, mezza austriaca, mezza italiana, scappava dalla prima Guerra Mondiale e chissà come arrivava qui ai confini di una città sempre più grande, tre “mariti” e sette figli, la nonna che “tirava” tabacco dal naso, beveva grappa al mattino, mi metteva in tasca olive nere da mangiare in cortile giocando con i bambini più terribili e urlanti di tutta la mia esistenza (...) Qui la storia si ferma, sono imbarazzato, scrivere, rac- contare, sento la storia mia e l’obiettività ne risente, ho paura di far prevalere emozioni, dilungarmi troppo, e tutto perché sono davanti ad una lapide: “Qui abitò Taietti Renato che alla causa della Libertà offerse la Giova- ne vita - 9 agosto 1926 – 26 aprile 1945”. Il fratello più piccolo di mio padre, il settimo figlio di mia nonna Giovanna Val e di mio nonno Pietro Taietti. Strano, il verde diventa smeraldo, le foglie su gli alberi, lì dove una volta c’era un campo di bocce, s’incendiano di luce. Un raggio di sole cade obliquo e guardando bene, migliaia, milioni di particelle microscopiche, pulviscolo, si muovono, si agitano lì, solo lì, in quel pezzetto d’aria illuminato dl sole. Mi sento piccolo piccolo, leggo e rileggo quelle scarne parole: il naso all’insù, un rettangolo di marmo, parole in rilievo che si stanno cancellando, dimenticando.Prendo in prestito alcune pagine che ho già scritto, sono importanti per ricordare: “Seduta davanti alla vecchia stufa, si asciugava le lacrime con lo straccio della cucina, dalla finestra entrava un debole sole e odor d’erba bagnata. Sul tavolo della stanza quattro assi male inchiodate aperte, una brutta cassa da morto, all’interno mosche e sangue, il corpo di Renato, il più giovane, diciannove anni. Mia nonna Giovanna aveva in giro per il mondo sette figli, per la guerra, per liberare l’Italia. Quando il prete che arrivava da Lodi con due buoi e un carro pieno di bare si fermò a Molino Doppio, la vecchia Cascina tra i prati della Barona, dicendo che c’era un Taietti, Giovanna disse urlando: «Ma chi è dei miei figli?». Renato, innamorato di quella ragazzina mora di Lodi Vecchio, Renato il più giovane, il più piccolo sempre via da casa, sempre di corsa, sempre a ridere e sognare amore e libertà. Ora lì, sul tavolo della cucina, con un fazzoletto a quadri in mano che cercava di coprire di tamponare un’enorme squarcio rosso di mitraglia nella pancia, carne e budella, e un buco in fronte nero come le loro maledette camicie nere... E la sua voce, le sue grida perse per sempre in un campo là a Lodi, i suoi sogni scomparsi, la sua vita ancora da cominciare per sempre finita. Fascisti e nazisti che se ne vanno, che scappano, ma come ultimo sfregio morti e risate. Torneranno a casa gli altri sei fratelli, gli altri Partigiani, e gli altri soldati del mondo, ma Renato non c’è più e questo fine Aprile di gioia, di Liberazione, vedrà altre lacrime e altro dolore, e le macchie di sangue stenteranno ad asciugare. E noi non potremo mai dimenticare. Renato Taietti anni diciannove, catturato in combattimento a Lodi Vecchio il 26 aprile 1945 e subito fucilato da fascisti e nazisti di una colonna motorizzata che stava fuggendo verso la Svizzera, Il suo corpo è sepolto al Cimitero Maggiore, Campo della Gloria; anche una lapide a Lodi Vecchio, in viale Piacenza, ricorda lui e i suoi compagni trucidati da vigliacca mano fascista; il suo nome è iscritto alla Loggia dei Mercanti di Milano insieme a 1739 Martiri che donando la loro vita ci hanno regalato la LIBERTÀ”."
Racconto di Ivano Taietti, nipote di Renato. Tratto da Libertà tra i Navigli- La Resistenza in Barona, Lorenteggio, Giambellino, Porta Genova. Milano.
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