Francesco Migliavacca
Luciano Paschini
I tre Martiri. Lapide in Via Lodovico il Moro 135. Milano
Luciano Paschini nato a Milano il 27/07/1927 da Mauro e Vighi Angela; Giuseppe Frazzei nato a Milano il 29/09/1926 da Luigi; Francesco Migliavacca nato a Buccinasco (Milano) il 4/02/1924 da Carlo Pietro.
Abitavano tutti e tre in via Lodovico il Moro 135. Milano.
La sera del 7 aprile 1945 tentarono di irrompere nella abitazione di M. in via Giambellino. M. era un noto delatore e torturatore appartenente alla Muti, che secondo alcuni non disdegnava azioni di criminalità comune, quali i furti nei negozi della zona. M. riuscì a fuggire dal suo appartamento e a raggiungere un vicino presidio fascista. I suoi camerati accorsero in forze per procedere al rastrellamento della zona con l’intento di catturare i tre giovani Partigiani, che non si erano allontanati dalla zona.
Luciano, Giuseppe e Francesco furono catturati e condotti presso una caserma repubblichina. Furono torturati e nella stessa notte tra il 7 e l’8 aprile ricondotti sul luogo della loro azione, dove vennero fucilati.
L’esecuzione avvenne in un prato dove poi sorse un palazzo, in via Giambellino 46, e lì venne posta un altra lapide a loro ricordo.
«7 aprile 45 - In via Giambellino, 3 sappisti della 113a bis, tentano il disarmo a domicilio di un pericoloso rastrellatore, ma una spia telefona alla Resega che riesce a bloccarli. I nostri Sappisti tentano di reagire, ma vengono immobilizzati e portati al presidio dove li sottoponevano alle più tremende sevizie. Non essendo riusciti a sapere ciò che speravano li ricondussero sul posto dell’avvenuta cattura e barbaramente li trucidavano». Relazione della 4° Divisione Garibaldi.
Anni or sono i parenti del più giovane dei tre, Giuseppe Frazzei, ricordavano:
Angela Frazzei (Cognata): Un ricordo che ancora mi fa piangere. «Corri, mi dissero, c’è Peppino morto in via Giambellino. Peppino era il fratello di mio marito. Io allora abitato a Corsico. Ero fidanzata con Alessandro. Conoscevo Peppino, suo fratello, più giovane di tre anni. Alessandro era via, militare. Non sapeva niente. Avrebbe saputo solo il giorno del suo ritorno a casa, il 13 maggio del ’45. Quando arrivai quella mattina dell’8 aprile c’era già gente attorno ai corpi dei tre giovani uccisi sul ciglio del prato davanti al Bar Siro. Riconobbi subito Peppino. Aveva un buco dietro l’orecchio. Ma doveva essere stato torturato. Forse con la corrente elettrica. Le braccia erano annerite. Erano conciati tutti e tre da far pietà. Paschini aveva un buco in fronte. Lì, in via Giambellino, li avevano finiti. Molti piangevano. Perché tanto strazio? La guerra, sì, ma come si poteva ridurre un ragazzo in quelle condizioni? Li avevano scaricati e uccisi sulla strada come fossero niente. No, non dimenticherò mai quel momento».
Alessandro Frazzei (fratello): A casa pensavo di ritrovare tutti. «Quando sono tornato a casa il 13 maggio 1945 dopo due anni di guerra e di prigionia (sono stato richiamato nel ’43) pensavo di ritrovare tutti. Invece mio fratello Peppino non c’era più. Credevo di essere stato il più sfortunato della famiglia. Dopo l’8 Settembre sono stato fatto prigioniero dai tedeschi e portato in giro per tutta la Jugoslavia. Spesso a piedi. Una vita d’inferno. In Austria a Villach all’inizio del Maggio del ’45 ho visto il primo carro armato americano. Eravamo in quattro soldati italiani. Pensammo allora che era finita e così decidemmo di tornare. Da Villach a Udine a piedi e poi con mezzi di fortuna fino a Milano. Finalmente a casa. Peppino, però, non c’era. Piansi come un bambino. No, non potevo immaginarmelo. Ero andato via che era un ragazzino. Un bravo ragazzo. Lavorava alla CGE e studiava per diventare perito. Come potevo pensare che quel ragazzo sarebbe morto così? Mia madre si è tenuta il suo maglione bucato dai colpi sparati dai fascisti per molti anni. Poi lo ha consegnato all’ANPI. Non so dove sia finito quel maglione con tutti quei buchi».
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