07 marzo 2021

I Partigiani della Barona: Il Cippo del Ronchetto sul Naviglio.


 

















Cippo della Battaglia "Ronchetto sul Naviglio"                                                                               Giardinetto di Via Lodovico il Moro 187 Milano

Tre  Partigiani: Idelio Fantoni. Giovanni Paghini. Domenico Bernori.

Nella notte del 25 aprile 1945 a Ronchetto sul Naviglio, al confine tra Milano, Buccinasco e Corsico, arriva da Vigevano una colonna di camion e automobili di fascisti e nazisti. A sorvegliare la zona un gruppo di 15 partigiani, stanchi e male armati. Lo scontro è immediato. Poco più tardi arrivano i rinforzi che prendono il nemico di fianco. Il nemico è costretto a fermarsi. 

Ma tra i partigiani ci sono feriti e morti: Domenico Bernori, Giovanni Paghini. Idelio Fantoni è ferito gravemente e viene subito portato, insieme ad altri, nella cripta della chiesa di Santa Rita dove, segretamente era stata allestita un’infermeria per i partigiani. Ma per Idelio non c’è più niente da fare. 

 

Idelio Fantoni, nato a Milano il 14/07/1927, da Antonio. Abitava in viale Famagosta 2 e lavorava alle Officine Tallero. 

Appartenente alla 113ª Brigata Garibaldi SAP. E’ stato insignito della Medaglia di bronzo e riconosciuto con Diploma Alexander 227347.

Idelio crebbe nelle casi popolari intorno a piazza Miani (che allora si chiamava piazza Predappio) dove, insieme ad altri ragazzi, cominciò in maniera autonoma svolgere piccole azioni (scritte sui muri, volantini…) contro il fascismo e l’occupazione tedesca. Tutti entreranno presto, con altri partigiani, a far parte dell’8° Distaccamento Barona della 113ª Brigata Garibaldi. 

Una lapide lo ricorda anche dove abitava in Viale Famagosta 2.

 

Giovanni Paghini “Spartaco” nato a Opera (Mi) il 5/05/1927, da Santo e Maria Modesti, risiedeva in via Chiesa Rossa 113. 

Lavorava come operaio nella Fonderia Stabilini. Appartenente alla 113ª Brigata Garibaldi SAP. Diploma Alexander 227353. Medaglia di Bronzo.

Una lapide lo ricorda anche dove viveva. 

 

Domenico Bernori, nato a Milano il 20/03/1924, da Luigi e Angela Panigada, abitava in via Neera 11.

Di professione meccanico, apparteneva alla 113ª Brigata Garibaldi SAP. Insignito della Medaglia di Bronzo per la sua attività partigiana.

Una lapide lo ricorda anche dove abitava.


"La serata del 25 aprile 1945, nella zona del Naviglio Grande, "Luigi Maradini, comandante della 113ª brigata Garibaldi Sap, ordina il blocco della nazionale per Alessandria all'altezza di Ronchetto sul Naviglio: una sessantina di garibaldini con solo 5 mitra, dieci moschetti, una decina di bombe a mano e «numerosissime rivoltelle non completamente cariche». Sopraggiunge, puntando sulla città, una forte autocolonna tedesca che viene investita da lancio di bombe a mano e raffiche di mitra. Ne nasce un violento scontro che si protrae per un'ora finché, esaurite le munizioni, i partigiani devono ritirarsi. Anche la colonna germanica fa marcia indietro dirigendo verso Corsico e poi verso Baggio. I tedeschi lasciano sul terreno diversi morti tra cui due ufficiali. Nel combattimento sono caduti i garibaldini Domenico Bernori, Idelio Fantoni e Giovanni Paghini" Verbale in originale 113° Brigata Garibaldi. 

 

I nazisti scampati allo sbarramento tornano verso Corsico per tentare di entrare in città passando per Cesano Boscone o Baggio, ma le staffette avevano avvertito tutte le bande della zona e in ogni strada vengono attaccati dagli uomini e dalle donne della Resistenza, per venire fermati definitivamente dalla 112a brigata Garibaldi e dai gruppi della Matteotti."




 















Fantoni Idelio 








































Paghini Luciano 




































Bernori Domenico 


















"Una quindicina di partigiani, stanchi, assonnati e male armati, corrono a perdifiato incontro al male. Ci sono solo prati, qualche albero, il Naviglio indifferente che scorre piano piano, il ponte lì davanti. E alle spalle la vecchia scuola. Poi solo buio e silenzio, ma in lontananza ecco le prime urla, i primi rumori di motore. Scoppia la prima bomba a mano e il cielo si riempie di lampi e tuoni, si spara con tutto quello che si ha, si urla con tutto il fiato in gola: “Maledetti, di qui non passate”. Arrivano i rinforzi, adesso sono quasi in ottanta a urlare, sparare, qualcuno è di là del ponte, e prende i nazisti di fianco. E la colonna si ferma, sullo spiazzo della vecchia “gabella” si odono i lamenti dei feriti. Il sangue comincia a gocciolare nell’acqua del Naviglio. Muoiono lì tra la prima erba di primavera, tra le prime stelle che annunciano la libertà, tre ragazzi: Domenico Bernori di anni 21, Giovanni Paghini di anni 18, Idelio Fantoni di anni 18, che dapprima ferito gravemente viene portato insieme ad altri feriti alla cripta della chiesa di Santa Rita, dove segretamente era stato allestito un punto di pronto soccorso per gli antifascisti. I padri Agostiniani oltre che nascondere armi e uomini, li nei sotterranei della chiesa prestavano la loro opera di conforto medico da parecchi mesi, aiutati da un giovane partigiano e studente di medicina: Mario Migliavacca, che divenne poi apprezzato medico condotto di zona, e che aveva appena finito di piangere la morte di suo fratello Francesco Migliavacca di 20 anni, fucilato dai fascisti al Giambellino l’8 aprile del 1945. Il Padre Agostiniano Luigi Binaschi della chiesa di Santa Rita, fu persino arrestato dalla Muti per la sua attività antifascista e incarcerato a San Vittore. Tre sono feriti gravi: Paolo Mignosi, Antonio Befana, e Scipione Grossi, che cerca scampo gettandosi nelle acque del Naviglio, nuotando fino all’altezza della Cooperativa Ferrera, dove viene tratto in salvo e portato nella sua abitazione, non molto lontana, dove gli vengono prestate le prime cure. Oltre alle carcasse di diverse vetture blindate, sul luogo del tremendo combattimento rimangono i corpi senza vita di numerosi tedeschi, fra cui due ufficiali che comandavano la colonna. I nazisti si ritirano, ritornano verso Corsico e tentano di entrare a Milano attraverso Cesano Boscone e Baggio. La colonna si smembra, le staffette hanno avvisato tutti, e in ogni via, ogni piazza i Partigiani aspettano i fascisti e i nazisti a suon di schioppettate. Appena entrati in città sono nuovamente attaccati, questa volta dalla 112brigata Garibaldi, da gruppi della Matteotti e di Giustizia e Libertà. La Squadra volante “Aldo Oliva” dove combatteva mio padre Pietro Taietti, nome di battaglia “Mario” al comando di Angelo Bornaghi, nome di battaglia “Gianni”, che nei giorni dell’insurrezione svolse anche il ruolo di responsabile della squadra a “guardia del corpo” di Sandro Pertini, incontra un nutrito gruppo di nazi- fascisti, tra il ponte di via Valenza e via Lombardini. Un nutrito lancio di bombe a mano uccide tutti i cavalli degli ufficiali nazisti e forma un’impenetrabile barriera che non permette alle autovetture blindate di passare oltre. Numerosi fascisti e nazisti sono catturati e condotti alla prigione segreta di via Binda, nei sotterranei dell’azienda Esperis. Saranno poi consegnati agli anglo-americani nei primi giorni di maggio."

Racconto di Ivano Taietti, tratto dal Libro "Libertà tra i Navigli - La Resistenza in Barona, Lorenteggio, Giambellino, Porta Genova. Milano." 


Dal Libro “Partigiani della zona 15” a cura di Giuseppe Deiana.


Giovanni Paghini e Domenico Bernori.

“In questa casa fiorì la giovinezza del Patriota Paghini Giovanni, della 113° Brigata Garibaldi, stroncata dal piombo nazifascista. Milano 20/03/1924 - Miano 25/04/1945” Questo si legge nella lapide di Via Chiesa Rossa 113, che ha la stessa scritta di quella dedicata a Domenico Bernori inVia Neera 16. Virginio Gallazzi dichiara di conoscere le circostanze della morte di Paghini e Bernori solo “per sentito dire”. Giovanni Paghini (nato a Opera il 5 maggio 1927, morto a Milano il 25 aprile 1945) lavorava alla Fonderia Stabilini in Via De Sanctis, Domenico Bernori abitava in Via Neera 16. Quest’ultimo era un ragazzo molto attivo politicamente, in quanto apparteneva, come Paghini, alla 113° Brigata Garibaldi. In questa veste gli sarebbe stata affidata la missione d’uccidere il proprietario della fabbrica Grazioli, uomo che, grazie al fascismo, dal nulla aveva fatto fortuna. Il 25 aprile, il Naviglio era asciutto e questi tre Partigiani vi entrarono con l’intenzione di aggirare i tedeschi presso il ponte di San Cristoforo (per Virginio Gallazzi presso il dazio del Naviglio Grande). Non si accorsero dei nemici alle spalle, che con una raffica li ammazzarono. Sono caduti, quindi, in un azione d’arresto di una colonna nazifascista. Avevano rispettivamente 18 e 21 anni. L’ex Partigiano Di Bisceglie, conosceva Domenico Bernori (nato il 20 marzo 1923, morto a Milano il 25 aprile 1945 a Milano) tramite quella che sarebbe stata sua moglie, la quale abitava in Via Neera nell’appartamento attiguo a quello del Partigiano in questione. Spesso infatti, quando i giovani antifascisti venivano ricercati, la gente del quartiere offriva loro rifugio, rischiando la vita di tutti i familiari. Gli ufficiali nazisti non si facevano scrupoli ed erano pronti a fucilare donne e bambini colpevoli solo di troppa solidarietà.” 



Le Lapidi della Barona


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