di Linda Barbarino
C'eravamo tutti quel primo maggio a Portella della Ginestra. Portavamo le frittate e le olive, le uova e il formaggio, il vino e la terra... tutta nostra quel giorno era la terra. Alcune coppie ballavano fin dal mattino perchè c'era chi suonava la chitarra. Dietro una mula bardata a festa la picciotta allattava, era voluta venire anche lei, portarsi appresso anche l'altro picciriddo, quello che camminava. I giovanotti saltavano di qua e di là col fiasco in mano,parevano puledri rimasti a lungo nella stalla. Le vecchie sopportavano a stento i fazzoletti neri; il primo sole ruggiva gagliardo come un vecchio leone dopo il letargo. Dietro i lastroni di roccia gli uomini anziani stavano all'ombra, un filo d'erba tra i denti ad accompagnare i discorsi .La vecchia credeva che fossero mortaretti e cominciò a battere le mani festosa. Rideva. Per una frazione di secondo continuò a ridere, allegra, dentro di sé, ma il suo sorriso si era già rattrappito in un ghigno di terrore. Un mulo cadde con il ventre all'aria. A una bambina, all’improvviso, la piccola mascella si arrossò di sangue. La polvere si levava a spruzzi come se il vento avesse preso a danzare. C'era gente che cadeva, in silenzio, e non si alzava più. Altri scappavano urlando, come impazziti. E scappavano, in preda al terrore, i cavalli, travolgendo uomini, donne, bambini. Poi si udì qualcosa che fischiava contro i massi. Qualcosa che strideva e fischiava. E ancora quel rumore di mortaretti. Un bambino cadde colpito alla spalla. Una donna, con il petto squarciato, era finita esanime sulla carcassa della sua cavalla sventrata. Il corpo di un uomo, dalla testa maciullata cadde al suolo con il rumore di un sacco pieno di stracci. E poi quell'odore di polvere da sparo.
E' stato il bandito Giuliano, ci dissero dopo; ma noi non potevamo crederci. Ai poveracci la verità la servono i soprastanti, come piace a loro: fiele coi maccarroni o il pane schetto, per ingannarci, per tenerci divisi. E come potevamo credere che l'angelo dei braccianti, dei contadini, era una spia dei miricani, amico degli sbirri e dei baroni! C'è cu dici ca era un fascisa un venduto alla mafia ,un traditore; cu dici ca lottava per la Sicilia indipendente e morì in un conflitto a fuoco; c'è cu dici ca l'ammazzaru l'amici.
Cu dici che noi in quel maggio del '47 recitavamo il primo mistero, festeggiavamo la prima strage dell'Italia repubblicana.
C'eravamo anche quest'anno al primo maggio, stavolta davanti la tv con Che Guevara e Bella ciao i jeans e la maglietta strappata che anche se non siamo comunisti va bene per la scampagnata. Stavamo lì a fare la ola, quelli del lavoro interinale, a progetto, flessibile, delle cooperative, cococo; quelli del preservativo ma non per far peccato, è che se resti incinta ti licenziano; quelli senza ferie e malattie, quelli senza tredicesima, quelli che non gli fanno il mutuo, part time cassa integrati, licenziati senza giusta causa; quelli che tanto non si vede se non c'arrivi a fine mese: ci sono i mercatini per la roba e il cellulare lo cambi comunque. E poi c'erano anche loro, gli stranieri: quelli che cadono dai tralicci che non c'hanno il casco e l'assicurazione, quelli della zona grigia:lavoro in nero e morti bianche. Quelli invisibili che non vanno in ospedale per non tradire il capocantiere, quelli che raccolgono i pomodori a un euro l'ora, quelli che non avranno mai la pensione. Stavamo tutti lì a battere le mani, alzare il pugno chiuso: lavoro lavoro per tutti! Sì lavora il tempo a maciullare la storia da quel maggio lontano; lavorano le imprese fasulle, le fabbriche e non possono più fermarsi a produrre quanto l'ambiente non riesce a smaltire. Lavorano i cinesi giorno e notte, i media a bombardarci, la tecnologia ad andare avanti; lavora questo tempo ad azzerare i nostri diritti. Nessuno ha alzato le armi contro di noi, come allora. Non facciamo paura a nessuno e siamo confusi: lavoro lavoro lavoro pur che sia, anche se la sera a casa non ci torni.
Né mafia né Stato, nessuno ci teme e i problemi sono ancora più grandi.
Lavora la notte a togliere il peso del giorno che quello dopo non è più lo stesso e già il primo del mese è passato: “ei fu”. Riposiamoci. Alla prossima festa.
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